Marduk Serpent Sermon

Marduk Serpent Sermon Recensione
I Marduk stanno vivendo una seconda giovinezza artistica. Inutile negarlo. Certamente la svolta nel loro sound, avvenuta con gli ultimi dischi, risulta indigesta a molti, ed è altrettanto sicuro che album come “Rom 5:12” (2007) e “Wormwood” (2009) non segneranno la storia del black metal come fecero “Those Of The Unlight” (1993) e “Opus Nocturne” (1994). Il nuovo stile della band svedese è in realtà piuttosto derivativo; in particolare poggia sulle atmosfere sulfuree, malsane e intricate del cosiddetto religious black metal, sotto – sottogenere portato alla celebrità da Deathspell Omega e simili. Tuttavia la differenziazione dei tempi e la maggior complessità dei brani hanno saputo favorire la riuscita di “Serpent Sermon“, così come la favorirono per i suoi diretti predecessori. Dopo le secche creative di lavori malriusciti quali “La Grande Danse Macabre” (2001) e “World Funeral” (2003), è comunque interessante avvertire nuovi stimoli creativi da parte di Morgan Håkansson (unico superstite della line – up originaria) e compagni.
“Serpent Sermon” non è probabilmente all’altezza di “Wormwood”, anche se ci va dannatamente vicino. E dimostra che nel 2012 è ancora possibile suonare del metallo nero di un certo interesse. Qui vecchio e nuovo corso del quartetto vanno a braccetto in dieci tracce che offrono poche cadute di tono e, alle volte, superano persino le aspettative che si potrebbero nutrire verso un complesso giunto al suo dodicesimo full length. C’è un po’ tutto quello che un appassionato del genere potrebbe desiderare: tempi serrati alternati a rallentamenti asfissianti, blast beat e riff violentissimi sparati fra capo e collo, vocals ora laceranti ora contorte e digrignanti. Si passa dal riffing al 100% swedish black metal della title – track e di “Messianic Pestilence” allo slow tempo di “Temple Of Decay“, sino ai cambi di prospettiva contenuti in “Souls For Belial“, in cui grande protagonista è ancora una volta il latrato ferino e disturbante di Mortuus, in quella che probabilmente è la canzone più vicina allo stile dei Funeral Mist, non a caso band guidata dallo stesso cantante. Brano, in ogni caso, fra i migliori del cd, che potrebbe persino diventare un classico dei Marduk.
Una produzione ad hoc, molto pulita ma non eccessivamente levigata, dà un ulteriore aiuto alla riuscita finale di “Serpent Sermon”, che dividerà ancora una volta il pubblico, ma che verrà sicuramente apprezzato da chi è più addentro all’evoluzione intrapresa negli ultimi anni dal black metal più feroce.
Stefano Masnaghetti
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