Il problema con Dave Mustaine e i suoi Megadeth è che quando diventi famoso con qualcosa praticamente inventato da te (e che ti viene davvero, davvero bene) la gente tende ad innervosirsi se inizi a provare qualcosa di nuovo o diverso. Chiaro, dimostrare integrità nella propria proposta musicale non è comunque garanzia di successo (anche Iron Maiden, Slayer e Manowar, per dire, ne hanno pubblicate di porcate), ma coi Megadeth si è arrivati a tali “rovesci” da cristallizzare l’opinione degli ascoltatori tra chi adora i dischi fino a Rust In Peace (1990) e chi mal sopporta tutti quelli incisi dopo. Vedi quel nefasto Risk (1999) che se lo nomini i fans si fanno ancora il segno della croce in segno di scaramanzia.
Per esorcizzarlo, Mustaine ha dovuto pubblicare una barca di lavori thrash così pieni di riff e cascate di note da sterilizzarci le orecchie. Dischi metal, sicuramente, fatti da un esperto del genere…buoni per chi si accontenta, però. I cd degli ultimi 10 anni infatti, per quanto ben confezionati, suonano spesso troppo generici , dato che della spinta e della carica (e del gruppo) dei bei tempi rimane poco. D’altra parte, a 50 anni suonati, come fai a comporre ancora con il piglio di un drogato cronico pazzo pericoloso disposto a tutto, anche seccare i propri compagni di band, pur di raggiungere il top e vendicarsi dei vecchi soci? Tutto questo preambolone per dire cosa?
A) Quanto sia irraggiungibile il periodo d’oro della band
B) Come Mustaine, volente o nolente, abbia sfornato dieci anni di metallo medi
C) Come, oggi, si conceda di provare ancora qualcosa di nuovo. Convince? Non del tutto, ma è da apprezzare lo sforzo. Prima di cancellare il torrent tranquillizzatevi: sempre di metal si tratta, no ballad o elettronica.
Il nuovo Super Collider mantiene il sound degli ultimi dischi, con però un approccio alle chitarre decisamente più heavy metal classico: i riff sono più semplici e lineari, senza lo shredding classico di Mustaine; in tal senso è calzante la cover di “Cold Sweat” dei Thin Lizzy. Certe volte i risultati sono molto interessanti e divertenti, come l’opener “Kingmaker” e “Built For War” (dove Dave sbraita pure alla grande), altre volte rimangono un po’ insipidi (“Burn!” sembra riprendere il riff di “Burning Bridges” da The World Needs A Hero, del 2001). Strutture semplici anche sulle canzoni, con ritornelli e assoli molto orecchiabili. Ottimo esempio il riff melodico di “Forget To Remember”, uno degli episodi che funzionano di più. Caso estremo di melodia invece la title track: un arena rock anni ’80 che viaggia a media velocità e punta tutto su riff basilare, ritornello e fill di chitarra. Curiosamente scelta come singolo, pur non essendo rappresentativa del sound dell’album, ha già ricevuto parecchie critiche…e di sicuro anche il video non passerà inosservato.
Forse il brano migliore, o comunque il più coraggioso, è “Dance In The Rain”, collaborazione con David Draiman (Disturbed, Device): un brano con un’ottima costruzione, che parte da una narrazione con visioni Orwelliane di Mustaine, passa ad per un riff pieno di groove fino ad arrivare alla scheggia finale, dove la voce di Dave si mischia a quella di Draiman per un botto adrenalinico. Esperimenti meno riusciti “Beginning Of Sorrow”, che insabbia un buon riff sotto cori e orchestrazioni quasi da Muse, e “The Blackest Crow”, che è un’originale idea di western-metal ma il cui giro di banjo sembra lo stesso di “Sing” dei Travis. In definitiva, per i Megadeth un disco più coraggioso delle ultime uscite: di sicuro dividerà le opinioni (come al solito), di sicuro farà storcere il naso a chi vuole più note possibili al massimo della velocità ma merita davvero parecchi ascolti.
Marco Brambilla
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