Morbid Angel – Illud Divinum Insanus

Morbid Angel Illud Divinum Insanus
Sono passati 16 anni dall’ultimo disco dei Morbid Angel con David Vincent alla voce. Si trattava di “Domination”, uno dei maggiori capolavori mai scritti dai floridiani. Lapalissiano, quindi, che il ritorno del leggendario frontman non solo sulle assi del palco, ma anche in studio, fosse atteso con spasmodica apprensione da parte dei fan che, sì, avevano sempre ammesso la bravura di Steve Tucker quale buon sostituto, ma che con tutto il rispetto del mondo seguitavano a considerarlo, appunto, un sostituto. Personalmente credo fossero in molti ad attendere “Illud Divinum Insanus” quale possibile ricongiungimento col passato e ideale prosecuzione dei primi quattro dischi. Eppure sia Trey sia David stavano palesando da tempo un interesse sempre maggiore verso la musica elettronica in generale e suoni technoidi in particolare. Difficile non se ne trovasse traccia nella loro nuova fatica. E infatti.
“Illud Divinum Insanus” susciterà sicuramente – e in realtà le sta già suscitando – vivissime polemiche e persino gran sconforto fra la vecchia guarda, quella ancorata al classico death metal e più restia nello sforzarsi di capire ‘nuovi’ suoni. Che poi nuovi lo sono, in parte, solo per Azagthoth e compagni, poiché sono ormai parecchi anni che il metal flirta con l’elettronica. Detto questo, ascoltare un brano come “Too Extreme!”, sorta d’incrocio fra hardcore techno sparatissima (la base è proprio tunz – tunz!) e metallone grezzissimo – immaginatevi un incrocio fra Atari Teenage Riot e gli stessi primi Morbid Angel – ha fatto rizzare le orecchie anche al sottoscritto, non solo per l’esperimento in se stesso ma anche per l’altissimo grado di tamarraggine che la canzone sprigiona a ogni beat. Potrebbe riempire il dancefloor di un club dei più perversi. E la conclusiva “Profundis/Mea Culpa” potrebbe essere il suo degno abbinamento. Se a questo aggiungiamo la marcetta industrial metal di “Destructos Vs. The Heart/Attack” e l’ibrido fra Marilyn Manson, Ministry e Queens Of The Stone Age (!!!) di “Radikult” capiamo subito che tutto ciò appaia intollerabile a chi è cresciuto consumando i solchi di “Altar Of Madness”.
Tuttavia, l’opera non è una svolta netta verso l’electro metal o qualcosa del genere. In molti episodi torna prepotente il marchio dell’Angelo Morboso che fu. “Nevermore” sgorga direttamente dai fetidi liquami di “Dominaton”, e così fanno anche “Beauty Meets Beast” e l’inno deviato di “I Am Morbid”, ossia l’epica secondo Trey e David, mentre “Existo Vulgoré” ricorda certi attacchi furiosi di “Covenant”. Quindi è più giusto parlare di un ibrido mutante piuttosto che di una svolta tout – court. Insomma, qualcosa che rischia di scontentare tutti, ma proprio tutti.
Io però non sono del tutto deluso da questo disco. Certo, pare un container zeppo di questo e quell’altro, di una cosa e del suo contrario; la produzione non è sempre perfetta (troppo ‘finta’ a volte); a volte sbraca della grossa, si confonde con se stesso, decolla e poi precipita nel giro di pochissimo; le parti elettroniche non sono la quintessenza dell’originalità, anche se spesso picchiano duro, e la stessa cosa si può dire per quelle death. Tanti difetti, quindi. Però, come sempre quando c’è di mezzo Vincent, tenta in tutti i modi di essere estremo, di non lasciar nulla d’intentato, di spiazzare e provocare, come in passato avevano fatto i primi quattro capolavori. E “Illud Divinum Insanus” (a proposito, ancora una volta è stato rispettato l’ordine alfabetico) capolavoro non lo è, ma cresce con gli ascolti e non cede mai le armi. Probabilmente si tratta di un album di passaggio, il prossimo potrebbe essere ancor più sbilanciato a favore dell’elettronica, e scontentare ancor di più. I Morbid Angel però non sono mai banali, anche quando pubblicano qualcosa di ‘sbagliato’, e l’hanno dimostrato ancora una volta.
Stefano Masnaghetti

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