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Il percussionista californiano Zach Hill si è reso noto, in passato, per le sue numerosissime collaborazioni con band fra le più quotate in contesti più o meno sperimentali. I math rockers Hella l’hanno lanciato, lui ha sfruttato abilmente tale trampolino e sono arrivate le richieste da parte di Les Claypool, Chino Moreno e i suoi Team Sleep, Marnie Stern e mille altri, che sarebbe oltremodo prolisso citare in questa sede. Per tagliare corto: il talento del batterista c’è ed è indiscutibile.
In veste solista il Nostro aveva già pubblicato “Astrological Straits” nel 2008, ma è con “Face Tat” che, per la prima volta, dimostra tutto il suo valore anche in questo ambito. Si tratta di un disco fratturato e destrutturato come pochi, e Zach è bravissimo a far emergere tutta la sua vena schizoide e la sua vocazione a mischiare scampoli noise, math rock storpiato dall’elettronica, scatti furibondi e balbettamenti autistici.
L’apripista “Memo to the Man” devasta ritmi latini in un turbinio di percussioni imbizzarrite, synth spastici e rumori futuribili, “Ex – Ravers” ricorda dei Battles sconnessi e in vena di barbarie sonica, fra broken beat e rimasugli techno, “The Sacto Smile” vive di bagliori Boredoms, “Green Bricks” arranca su cadenze dementi e un declamato stentoreo, “House Of Hits” è un altro tour de force batteristico fra Battles e gli Hella stessi, “Jackers” polverizza basi hip – hop in un tritarifiuti, “Total Recall” somiglia a un pezzo di classico punk rock risuonato dai Lightning Bolt, la title – track accenna ai Primus per poi sommergerli in un math rock frantumato da continui stop and go in odore di Orthrelm. Questi sono solo alcuni dei 13 brani di “Face Tat” in cui meglio risalta la furia iconoclasta del musicista, che non rinuncia a gettare qua e là suggestioni melodiche, le quali però vengono prontamente represse in pandemoni noise.
All’album hanno collaborato parecchi e importanti ospiti, da Devendra Banhart a Guillermo Scott Herren (Prefuse 73), da Greg Saunier (Deerhoof) a Dean Spunt e Randy Randall (No Age), fino alla vecchia conoscenza Carson McWhirter degli Hella, ma sfido chiunque a riconoscerli nel mezzo di tutta quella confusione. “Face Tat” vive di istinto immediato e di decostruzione parossistica, e in questi elementi sta tutto il suo valore.
Stefano Masnaghetti