[Post Hardcore] Knut – Wonder (2010)



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Fra le truppe del post hardcore, gli svizzeri Knut si sono sempre distinti per la qualità e la ricercatezza della loro proposta. Il quintetto di Ginevra non ha mai badato a spese in quanto a sperimentazione e voglia di spingersi oltre i limiti del già acquisito. Eppure, dopo 16 anni di carriera e 5 album, fra i quali almeno un capolavoro, “Terraformer” del 2005, si può parlar di loro quasi si trattasse di una promessa mancata. Perché, nonostante tutto, sono sempre rimasti una band di nicchia, incapace, che sia per colpa o per sfortuna o per entrambe le cose qui non interessa più di tanto, di compiere il definitivo salto di qualità e d’insediarsi nelle alte sfere del proprio genere. Ok, incidono per Hydra Head da quasi un decennio, ma, pur avendone (forse) le capacità, non hanno mai raggiunto lo status di complessi quali Isis o Neurosis (giusto per citare due ensemble per certi versi affini al loro). Forse perché, nonostante la bravura tecnica e l’impegno costante, quei limiti sopra citati non li hanno mai abbattuti veramente. Oppure, semplicemente perché sono arrivati sempre con un secondo di ritardo rispetto ai loro colleghi più blasonati (vedi “Terraformer”, splendido disco, eppure uscito appena dopo altri lavori realmente seminali per il postcore).

Comunque. “Wonder” interrompe un silenzio di 5 anni, in cui i Knut non hanno rilasciato praticamente nulla, eccezion fatta per un disco di remix, “Alter” del 2006. Nonostante il lungo periodo di riflessione, la band è quella che conosciamo bene, non è cambiato quasi nulla. In 40 minuti i Nostri elencano tutti quelli che sono i loro punti di forza: post hardcore fratturato in odore di Converge (ma meno violento e più ‘ragionato’) e Dillinger Escape Plan (ma meno disgregato e furioso e più ‘lineare’), con puntate qua e là verso i lidi di Coalesce e Breach. Il tutto corretto con una buona dose di vero e proprio math core e frequenti passaggi sludge metal, ai quali non manca una vena di psichedelia. Insomma, non servirebbe aggiungere molto altro, è il ‘solito’ disco dei Knut. Fra gli 11 brani che lo compongono, però, si possono citare almeno due strumentali che si distinguono dalle rapide centrifughe soniche che costituiscono le tracce più standard: stiamo parlando della progressione claustrofobica di ”Ultralight Backpacking”, vicina a certe cose dei Don Caballero, e della drammatica “If We Can’t Fly, We’ll Take The Boat”, dal grande riff iniziale e dallo sviluppo in rarefazione acida. Interessanti anche “Segue 1” e “Segue 2”, brevi interludi ambient per chitarra in riverbero, questi sì abbastanza insoliti per loro. Il resto è tutto nella norma, compresa la lunga perorazione sludge finale, “Wonder/Daily Grind”.

Ecco, “Wonder” è il consueto ottimo disco dei Knut. Magari non manterrà del tutto i prodigi che il titolo sembrerebbe affermare, e “Terraformer” resta almeno una spanna sopra ad esso, ma agli appassionati piacerà tantissimo, senza alcun dubbio. Solo a loro, però. Così gli svizzeri rimangono ben saldi nel loro ruolo di eccezionale gruppo di nicchia. Non c’è nulla di male in questo, basta saperlo.

Stefano Masnaghetti

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