[Power Metal] Blind Guardian – At The Edge Of Time (2010)


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“Il mondo dei Blind Guardian, sospeso in un crepuscolo in cui gli stanchi eroi delle epiche fantasie di Tolkien, Moorcock e Howard se ne stanno bellamente spaparanzati a godersi una birra schiumante, è immensamente meno sanguinoso di quello a suo tempo evocato dai Manowar. La lotta è finita, oppure è stata rimandata a domani. Nel frattempo, godiamoci dal davanzale della finestra il tramonto. Tutti i pezzi del gruppo sembrano situarsi in un eterno 7 e mezzo di sera. Il guerriero dei Blind Guardian la spada la mulina ben poco: tende a filosofeggiare, chiacchierare con gli amici, annoiarsi, pensare a qualche non meglio identificata pulzella del tempo che fu. Oppure struggersi per Tanelorn, la città perduta e – naturalmente – fuori dal tempo, in cui i guerrieri stanchi possono andare a sedersi sul succitato davanzale e fare quello di cui sopra per tutto il resto dell’eternità. Un bello svacco, non c’è che dire.” (Luca Signorelli, “L’estetica del metallaro”, Theoria 1997, pp. 32 – 33).

Ho sempre ritenuto queste righe di Signorelli piuttosto veritiere, nel descrivere l’essenza dell’arte di Hansi Kürsch e compagni. Più raffinata e allusiva rispetto a quella di molte altre band epic degli anni Ottanta, tuttavia più drammatica e pensosa paragonata all’happy metal di numerosi gruppi power di passaporto tedesco. Insomma, musica dalla Terra di Mezzo, in tutti i sensi. Ovviamente, disquisizioni ‘filosofiche’ a parte, quello che più di ogni altra cosa ha permesso ai bardi di Krefeld d’insediarsi nelle altre sfere del power metal e, addirittura, di trascenderle, è stata l’elevatissima qualità musicale delle loro canzoni, semplicemente. In grado di rasentare i confini del thrash e dello speed (soprattutto nei primi dischi) e, contemporaneamente, di giganteggiare nella costruzione dei cori e nello sviluppo di atmosfere a metà strada fra la grandeur epica e l’estasi sognante (soprattutto nei dischi della maturità). Tutte qualità che nel precedente “A Twist In The Myth” (2006) si faticavano a ritrovare; una penuria creativa che mai in passato aveva colpito il Guardiano Cieco in modo così drastico e netto, finendo per ridurre il suddetto album a dozzinale contenitore di dozzinali brani power che molti altri gruppi sarebbero stati in grado di scrivere. Sicuramente il peggior lavoro dei Nostri in assoluto, salvato soltanto, qua e là, dall’enorme esperienza ormai accumulata e da un paio di pezzi quasi all’altezza.

Per fortuna “At The Edge Of Time” recupera in parte la fantasia e l’ispirazione dei giorni migliori, dimostrando che il Tempo, evocato nel titolo, è ancora dalla parte del quartetto teutonico. Com’è ovvio che sia, non ci sono novità vere e proprie in questo loro nono album, ma per lo meno le grandi suggestioni presenti in opere quali “Nightfall In Middle – Earth” (1998) e “A Night At The Opera” (2002) vengono rilette e rielaborate con cognizione di causa, rendendo “At The Edge Of Time” il primo lavoro realmente ‘retrospettivo’ dei Blind Guardian. Il che non è necessariamente un male, specie se il risultato finale risulta convincente, come in questo caso. Nelle dieci composizioni del disco si respira un’aria familiare, intrisa di nostalgia, ma una nostalgia ‘attiva’, di quel genere in grado di risvegliare sentimenti e voglia di vivere; in breve, il classico panorama interiore che la band è da sempre in grado di descrivere. Oltre ai due album sopracitati, molte sono anche le influenze rilevate da “Imaginations From The Other Side” (1995), soprattutto per quanto riguarda l’uso dei cori. I fan del complesso non avranno difficoltà a farsi piacere le nuove creazioni, ce n’è per tutti i gusti: dai colossal sinfonici di “Sacred Worlds” e “Wheel Of Time” – poste rispettivamente ad apertura e chiusura della release, ed eseguite con l’ausilio di una vera orchestra – allo struggimento di “War Of The Thrones” e “Road Of No Release”, dalle pesantezze metalliche di “Tanelorn”, “Ride Into Obsession” e del singolo “A Voice In The Dark” all’afflato epico di “Valkyries” e “Control The Divine”, sino a giungere alla ballata acustica a meta strada fra il celtico ed il medievale di “Curse My Name”, tutto è Blind Guardian al 100%, gli assoli di Olbrich tornano a funzionare e Frederik Ehmke si dimostra, finalmente, un degno sostituto di Thomen “The Omen” Stauch.

Sicuramente un ottimo ritorno, quindi. Chiaramente “At The Edge Of Time” non può comunque competere con i vecchi capolavori, ma credo che su questo punto nessuno potesse nutrire eccessive illusioni. Epperò ai tedeschi è bastata la ritrovata fiducia nei propri mezzi espressivi per comporre un’opera degna di essere ascoltata anche tra qualche anno, non del tutto scontata e risaputa. Per una band arrivata al nono LP non è una cosa da poco.

Stefano Masnaghetti

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