Ghost of Perdition – The Baying of the Hounds – Beneath the Mire – Atonement – Reverie/Harlequin Forest – Hours of Wealth – The Grand Conjuration – Isolation Years
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Dopo dieci anni abbondanti di carriera e parecchi album alle spalle gli Opeth sono arrivati a una invidiabile maturità artistica, che si riflette in questo splendido “The Ghost Of Perdition”. La caratteristica principale di questo lavoro è l’equilibrio che il gruppo è riuscito a dare alle composizioni, e alle varie anime che muovono i talentuosi svedesi. Se infatti in precedenza avevano deciso di separare nettamente la componente death metal delle loro origini dalle componenti progressive e psichedeliche che mano a mano erano diventate sempre più influenti nel loro suono, creando due entità separate e lontane tra loro come “Damnation” e “Deliverance”, con questo lavoro sono riusciti ad arrivare ad una ammirevole sintesi. Per cui non inganni l’attacco brutale dell’iniziale title track, perché nel disco trovano spazio anche brani lenti e atmosferici come “Atonement”, la pinkfloydiana “Hours Of Wealth” e la conclusiva “Isolation Years”. Gli altri pezzi, tutti eccezionalmente lunghi e articolati, si dipanano tra sporadiche punte di aggressività, svisate rock settantiane e parti rallentate e dilatate. Indubbiamente gli Opeth hanno percorso molta strada, e sono stati capaci di incorporare influenze sempre diverse senza mai rinnegare le loro radici, arrivando a una crescita veramente notevole. Un lavoro di confine che potrebbe avvicinare gli amanti del rock progressivo al death metal come l’opposto, per come riesce a trovare un equilibrio tra le componenti che sfiora la perfezione.
S.R.