[Progressive Metal/Post Rock] Agalloch – Marrow Of The Spirit (2010)



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Uno dei più grandi meriti degli Agalloch è quello di aver saputo trasporre un certo tipo di sensibilità musicale di chiara impronta europea in un contesto prettamente americano. Ovviamente sono innegabili i riferimenti al Trascendentalismo di Thoreau e Emerson, e non a caso su “The Mantle” (2002) è presente una citazione di quest’ultimo; ma questa, infatti, è la matrice spirituale statunitense che si manifesta in note il più delle volte di tutt’altra discendenza. Sin dal debut album “Pale Folklore” (1999), il quartetto di Portland è stato pesantemente influenzato da certo gothic – doom inglese, quello di Anathema e My Dying Bride, dal progressive – black degli In The Woods…, dal folk degli Ulver, dalle atmosfere e dagli arpeggi acustici degli Opeth; tutte quante realtà del Vecchio Continente. Su queste basi, però, i Nostri hanno saputo infondere notevoli riferimenti al post – rock di band quali Godspeed You ! Black Emperor ed Explosions In The Sky; tutte quante realtà del Nuovo Mondo. Questo lo si è notato soprattutto nel precedente “Ashes Against The Grain” (2006), penultimo capitolo della loro evoluzione sonora.

“Marrow Of The Spirit” li vede tornare con immutato ardore e una ancor più grande voglia di sperimentare nuove soluzioni. Il mood complessivo del disco è piuttosto simile a quello del predecessore: composizioni persino più lunghe, grande cura dei dettagli, ampie digressioni prog e folk, consueto scream ancestrale. Differenze ce ne sono, però; il nuovo album è leggermente più aggressivo, a causa di un più largo uso di soluzioni smaccatamente black: è il caso del riff introduttivo di “Into The Painted Grey”, o della conclusione di “Black Lake Nidstång”, due brani peraltro ricchissimi di sfaccettature diverse, dal folk al post – rock al dark, l’ultimo dei quali contiene addirittura spunti space – prog di grande pathos. Nonostante l’adorazione della Natura trionfi ancora una volta, si sarebbe tentati di considerare “Marrow Of The Spirit” il lavoro più inequivocabilmente metal del complesso, in cui l’influenza dei primi Opeth si percepisce come non mai (cfr. “Ghosts Of The Midwinter Fires”, altro pezzo in cui la vena black si affaccia robusta). In tutto questo, il miglior episodio dell’opera è forse la breve fantasia per violoncello solo e suoni del bosco (ruscello, canto d’uccelli, etc.) introduttiva, “They Escaped the Weight of Darkness”, splendida nella sua alterità, più vicina a una suite per viola da gamba del Seicento francese che a qualsiasi altra cosa, ode alla malinconia allo stato puro.

Con gli Agalloch si va sul sicuro, chi ne ha già apprezzato le gesta sa che ogni loro uscita è uno stupendo scrigno ricco di meraviglie, e questa non fa eccezione. Tuttavia in alcuni punti si percepisce un leggero affaticamento compositivo (cfr. la conclusiva “To Drown”), che non permette a “Marrow Of The Spirit” di esser considerato il loro capolavoro, poiché quello rimane “The Mantle”. Diciamo che si tratta semplicemente di un altro viaggio nella dimensione di “Ashes Against The Grain”, colta però in una prospettiva diversa.

Stefano Masnaghetti

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