[Progressive/Math-Rock] Battles – Mirrored (2007)


Race: In – Atlas – Ddiamondd – Tonto – Leyendecker – Rainbow – Bad Trails – Prismism – Snare Hangar – Tij – Race: out

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Inutile nasconderlo: l’hype creatosi intorno a questo nuovo progetto musicale non può che influenzare la valutazione finale dell’emissione discografica qui presa in esame. D’altra parte non poteva essere altrimenti, dati i nomi coinvolti nei Battles: Ian Williams, già chitarrista dei seminali Don Caballero, l’ex Helmet John Stainer alla batteria, Tyondai Braxton (figlio del grande jazzista d’avanguardia Anthony) alle tastiere e alla voce, e l’ex Lynx David Konopka, anch’egli chitarrista, a completare il quartetto. Altra conseguenza logica, visto l’organigramma del gruppo, è il tipo di musica proposto: in breve, un tentativo di superamento sia del math – rock sia del post – rock utilizzando schemi progressive, ingabbiati però in rigide partiture modulari. Non c’è nulla d’improvvisato negli undici brani presenti, bensì continui incastri sonori e cambiamenti di prospettive timbriche in grado di disorientare l’ascoltatore, il quale finisce per perdersi in questa forma di chaos ben organizzato.

Se riuscire a metabolizzare tale flusso fonico è impresa ardua, meno difficile è individuare le varie influenze che hanno ispirato “Mirrored”: in primo luogo il gruppo madre dello stesso Williams (i moduli espressivi dei Don Caballero sono presenti in quasi tutte le composizioni, specie nell’incessante marcia obliqua di “Atlas”), e via via quasi tutti i maggiori esponenti del math – rock, Shellac compresi. A fianco di essi, trova nuova linfa la tecnica dei “tape loop”, sperimentata e utilizzata lungamente da Robert Fripp (“Rainbow” ne è la vivida testimonianza). Se a tutto ciò aggiungete qualche sprazzo di free jazz, echi di ambient music alla Brian Eno (cfr. “Bad Trails”) e sporadiche ruvidezze noise rock (in “Tij” qualche passaggio è nettamente debitore dei primi Helmet), avrete un quadro piuttosto esaustivo delle notevoli ambizioni dalle quali sono animati i Battles.
Probabilmente il difetto maggiore dell’album è l’eccessiva freddezza esecutiva e la sensazione di aver a che fare con una sorta di mirabolante esperimento da laboratorio; tant’è vero che la stessa copertina pare suggerire un che di asettico ed esasperatamente cerebrale.

Tolto questo, diamo a Cesare quel che è di Cesare: “Mirrored” è il disco più innovativo ed interessante che mi sia capitato di sentire quest’anno, oltre a costituire un deciso passo avanti rispetto agli EP pubblicati precedentemente dai Battles: se pensiamo all’involuzione che sta subendo la scena postcore / post – rock, salvo rare eccezioni, c’è da rallegrarsi nello scoprire che qualcuno abbia ancora voglia di osare. Peccato per il deficit emotivo, che può costituire un ostacolo alla fruizione di questo tipo di musica, ma opere del genere possono costituire la pietra di paragone per molti musicisti a venire.

S.M.

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