[Psychedelic Stoner] Om – God Is Good (2009)

 

Thebes – Meditation Is The Practice Of Death – Cremation Ghat I – Cremation Ghat II

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Gli Om stanno lentamente diventando una band cardine del movimento stoner, perlomeno della sua variante psichedelica, dilatata nelle atmosfere e distorta nelle percezioni. Soprattutto, con “God Is Good” sono arrivati ad avere un sound inconfondibile. Il debito nei confronti degli Sleep è sempre evidente, eppure adesso le loro composizioni sono immediatamente riconoscibili, qualità che solo i più grandi possiedono. Certo, sin dal debutto, “Variations On A Theme” (2005), le loro progressioni mistico – lisergiche sono fondamentalmente le stesse. Eppure, con il precedente “Pilgrimage” (2007) qualcosa è cambiato: l’ingresso di suggestioni mutuate dall’acid rock di marca Sixties e dalle allucinazioni dei primi Pink Floyd ha permesso al duo di allargare il proprio spettro sonoro, di renderlo realmente personale.

Il nuovo album è la naturale prosecuzione del suo predecessore. Chris Hakius se n’è andato, sostituito dietro le pelli da Emil Amos (Grails), ma a livello strutturale non è cambiato proprio nulla. La prima parte di “Thebes” è un altro omaggio a “Set The Controls For The Heart Of The Sun”, così come era stata la title – track di “Pilgrimage”: ronzii di tambura, tenui accordi di pianoforte e vellutate percussioni irradiano ipnotiche, prima che esploda il consueto riff di basso distorto e macilento, al quale è affidato il compito di portare a termine il brano. “Meditation Is The Practice Of Death” è un altro numero di raga – rock segnato dalla batteria di Amos, indubbiamente più fantasioso di Hakius, e dal suono delicato del flauto. “Cremation Ghat I” media fra India e Arabia: scansione ritmica tribale, vocalizzi berberi e battimani ad irrobustire il tutto, mentre la sua seconda parte conclude “God Is Good” riproponendo le nenie ‘dronate’ della tambura e quelli che sembrano accordi di sitar (ma nel libretto interno non è segnalato), sprofondando l’ascoltatore nell’ennesima meditazione al gusto di marijuana.

I detrattori criticano gli Om sostenendo che pubblicano dischi tutti uguali; d’altra parte si dice questo anche di mostri sacri come Motorhead ed Ac/Dc, quindi si tratta di un’argomentazione non sempre azzeccata per sminuire dei musicisti. In realtà ogni loro opera mostra piccole sfumature in grado di differenziarla dalle altre. Nel caso di “God Is Good”, ad esempio, il complesso ha raggiunto una sorta di nirvana personale, suonando leggero e ‘metafisico’ come mai in passato. Il loro sincretismo ‘religioso’, in grado di mischiare disinvoltamente antico Egitto, iconografia cristiana, spiritualità hindu e riferimenti zen è sicuramente facile e un po’ superficiale, ma, allo stesso tempo, incredibilmente efficace. La realtà è che anche quest’ultimo album li conferma fuoriclasse assoluti nel rendere intriganti sonorità vecchie di quarant’anni. Da avere assolutamente, come, del resto, tutta la loro discografia.

Stefano Masnaghetti

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