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Dopo un disco del valore di “Static Tensions” (2009), originalissima mistura di sludge metal alla Baroness, virate stoner in chiave Mastodon e bagni di lisergica psichedelia a metà strada fra Om e Neurosis, ci si poteva aspettare di più dal suo successore. E invece “Spiral Shadow”, quinto album per il quintetto di Savannah, tradisce in parte le attese.
Non fraintendete queste parole. I Kylesa rimangono una band unica, anche nel contesto dal quale provengono, ossia quel particolare calderone di ‘nuovo’ metal che si è sviluppato in Georgia e, in generale, nel sud est degli Stati Uniti. A differenziarli dai loro colleghi, Baroness in primis, è la tendenza a puntare quasi tutto sul recupero della psichedelia e dell’acid rock, lasciando da parte le molte complicazioni progressive nelle quali gli altri gruppi si dibattono. E sanno fare tutto ciò con un tocco personale difficilmente riscontrabile in molti loro vicini di casa: mi vengono subito in mente i Black Tusk, buon complesso ma nettamente più canonico.
Eppure la sensazione è che in “Spiral Shadow” i Nostri non utilizzino tutte le armi di cui dispongono, e che soprattutto la loro continua evoluzione si sia in qualche modo arrestata, soprattutto per quanto riguarda il versante della profondità degli arrangiamenti, che si sono come ‘alleggeriti’ rispetto al passato.
L’inizio è certamente buono; con la mastodoniana (periodo “Leviathan”) “Tired Climb” si parte subito forte, e ben orchestrato è anche l’uso della voce femminile di Laura Pleasants, cosa non affatto scontata in un contesto come il loro. Si prosegue poi con altre 10 canzoni oscillanti fra l’ottimo e il discreto: tra queste, vanno citate “Drop Out” e il suo tribalismo free form, in cui la doppia batteria è sfruttata al meglio; la diretta e anthemica “Don’t Look Back”, che incorpora addirittura suggestioni shoegaze nel riff portante e nell’uso degli effetti elettronici; il meditabondo ed etereo stoner/sludge di “Distance Closing In”, nettamente debitore verso gli Om; le reminiscenze dei Baroness presenti nel lavoro chitarristico di “To Forget”, mentre in quello della successiva “Forsaken” c’è qualcosa degli Electric Wizard più ‘orecchiabili’; infine la title – track, diretta emanazione degli anni Settanta e dei loro aromi.
Finisce tutto in quaranta minuti, e sebbene l’ascolto sia stato più che soddisfacente, anzi a tratti persino coinvolgente, si rimane con una punta d’amaro in bocca. I Kylesa potevano (dovevano?) fare di più, considerando quanto ampio sia il loro potenziale. Con “Spiral Shadow” ci offrono un altro ottimo disco, ma nella loro discografia manca ancora il capolavoro.
Stefano Masnaghetti