Vorph l’aveva preannunciato nell’intervista di qualche mese fa, ed è stato di parola: il singolo “Antigod”, contenuto nell’EP omonimo, è stato davvero indicativo del ‘nuovo’ corso dei Samael, tant’è vero che il nuovo “Lux Mundi” potrebbe esser visto come un tentativo di fondere l’atmosfera gelida ed aliena dei capolavori “Passage” (1996) ed “Eternal” (1999) con le rinnovate smanie black metal mostrate in “Above” (2009). Per nostra fortuna, però, l’aspetto prevalente rimane quello industrial, e la componente black è, semmai, nella vena dei primi lavori del gruppo, ossia lenta, lugubre e cerimoniale. Niente a che vedere, quindi, con le velleità ‘svedesi’ che avevano ammorbato il penultimo album degli svizzeri, rendendolo forse la peggior prova della loro storia.
In “Lux Mundi”, al contrario, le accelerazioni in blast beat sono saggiamente dosate, lasciando che a trionfare sia l’atmosfera. Che torna ad essere quella cupa e apocalittica della seconda metà dei Novanta, mentre il suono caldo e luminoso di episodi come “Reing Of Light” (2004) e “Solar Soul” (2007) si presenta raramente e solo in pochissimi brani: un caso può essere quello di “For A Thousand Years”, ma oltre a questo poco altro di simile si può rintracciare nelle 12 tracce che compongono il cd. Insomma, fa piacere risentire Vorph e soci in una dimensione adatta a loro; certamente non è tutto perfetto come quindici anni fa, qua e là si avvertono le saldature fra i diversi stili che si sono stratificati nel corso del tempo, ma è incoraggiante assaporare canzoni quali “Of War”, “In The Deep”, “Luxferre” e “Pagan Trance”, in cui le strutture elettroniche si fondono armoniosamente con corposi riff metal.
A dispetto del titolo, “Lux Mundi” è una delle loro opere più dense ed oscure, un altro sguardo gettato verso l’abisso, un disco che mostra il volto più pessimista dei Nostri, sia nella musica sia nei testi (provate a leggere quelli di “In Gold We Trust” e “Of War”). C’è anche una tendenza ad enfatizzare gli aspetti marziali dello stile che si nota, fortissima, in pezzi come il già citato “Luxferre” (in cui Vorph ringhia come ai bei tempi) e soprattutto in “Soul Invictus”; scelta, questa, che non può che far bene al risultato finale. E tutto sommato non stonano neppure alcuni spunti gothic (cfr. gli incipit di “Let My People Be!” e “The Truth Is Marching On”), che anzi danno maggior varietà al tutto.
Pare quindi che il passo falso di “Above” sia stato archiviato, con questo nuovo LP i Samael sono tornati a comporre qualcosa all’altezza del loro nome. Non un capolavoro, ma un album che si ascolta con piacere dall’inizio alla fine.
Stefano Masnaghetti