Titolo del disco e nome del gruppo potrebbero trarre in inganno, ma in realtà stiamo parlando di una band che non ha nulla a che vedere con i più famosi Freedom Call di Germania. I Seven, invece, sono un complesso proveniente dalla Repubblica Ceca che, sebbene da noi sia quasi sconosciuto, in patria ha raggiunto una certa popolarità ed è attivo da ormai molto tempo, tanto che “Freedom Call” è il suo sesto album in studio, il primo ad uscire per Nuclear Blast e, di conseguenza, il primo a poter sfruttare una promozione degna di questo nome.
Nonostante copertina e scelta del nominativo sembrerebbero far intuire qualcosa di scontato e anodino, al contrario il quartetto ceco è, a modo suo, imprevedibile e musicalmente fantasioso. Il che rappresenta il suo punto di forza e al contempo la sua più grande debolezza. Perché più ci si addentra nell’ascolto del disco e meno si riesce a capire che cosa vogliano combinare questi musicisti, per parte loro più che preparati da un punto di vista strettamente tecnico. La base del suono di “Freedom Call” è un heavy metal roccioso (questa volta è il caso di dirlo, data la consistenza della sezione ritmica) e molto classico, che però non disdegna qualche digressione in ambito progressive; a tratti ricordano da vicino i Rage, e probabilmente non è un caso che sia stato Victor Smolski ad aiutarli per il nuovo contratto. Tuttavia c’è anche molto altro nelle 12 tracce del cd. C’è soprattutto un insistere su soluzioni e strutture tipiche del post – grunge americano che, in più di un’occasione, fanno persino pensare ai Nickelback, più alcuni passaggi in odore, al contrario, di hard rock anni Ottanta. Si passa così da brani come la title – track e “Wild In The Night” che sono impostati su coordinate di saldo metallo teutonico, ad altri che si avvicinano moltissimo all’alt rock duro statunitense, quale ad esempio “The Road“. In “The Joker” appare persino lo spettro degli Alice In Chains, mentre “Abandoned” è una sorta di ballad divisa fra i già citati Nickelback e melodie quasi AOR (le aperture di hard melodico sono comunque espedienti molto utilizzati in gran parte del lavoro).
Che cosa ci vogliono dire i Seven? Per adesso non si sa ancora. “Freedom Call” è un’opera di discreto valore, e tale valore potrebbe essere persino più elevato se i quattro avessero le idee più chiare. Invece la sensazione è di star ascoltando una compilation hard’n’heavy che raccoglie quattro/cinque band diverse. Peccato, perché il talento c’è.
Stefano Masnaghetti