Sigh In Somniphobia

Sigh In Somniphobia Recensione
I Sigh non sono dei geni. Mai lo saranno. Provano a far qualcosa al di là delle loro capacità (e possibilità) ma ci credono tantissimo. E questo li rende degni di rispetto. Quando a inizio dei ’90 la Scandinavia sciorinava black metal, questi erano gli unici a provarci in Giappone. Ma il black stava loro stretto, quindi questi pazzi hanno inziato, praticamente, a suonare TUTTO quello che passava loro per la testa. L’internet in questi casi va a massa e bolla le cose un attimo strane come ‘avant garde’, ma in fondo qui abbiamo un folle che fa scream con sotto un vasto campionario musicale.
Arrivati al nono album, Mirai Kawashima e soci non smettono di fare i matti. Certo, l’opener è quasi un power metal sinfonico prodotto alla meno peggio, ma le percussioni tribali di “The Transfiguration Fear” fanno capire che qualcosa si sta muovendo. Poi parte la suite che da il titolo al disco e ciao, non è più terra di nessuno: cascate di moog e hammond, assoli di sassofono, atmosfere da noir, ambientazioni arabeggianti, assolazzi hendrixiani. I Mars Volta black metal, praticamente. Scherzi a parte, l’intento della band è sempre stato creare album come se fossero film…sì ma tipo i deliranti film giapponesi, probabilmente. Sembra davvero di vedere una delle allucinate produzioni del cinema ‘di nicchia’ del sol levante come “Tetsuo The Iron Man“, “House“, “Rubber Lovers“, “Tokyo Gore Police” e così via: sempre spiazzanti e squilibrati, tra il truculento e il faceto. Un ascolto impegnativo, non certo una realizzazione perfetta ma qualcosa di veramente originale.
Marco Brambilla
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