Eos – All The Love – Like Music – Vigil – Shadows Of The Sun – Let The Children Go – Solitude (Black Sabbath Cover) – Funebre – What Happened?
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Ennesima virata stilistica per i lupi Norvegesi: dopo gli esordi all’insegna del black metal più ferale e del folk più puro e incontaminato, dopo la svolta electro trip – hop di “Perdition City” e le raggelanti contorsioni art – rock di “Blood Inside”, adesso è il turno del loro disco più intimista e austero. Infatti in “Shadows Of The Sun” l’elettronica è ridotta al minimo, utilizzata esclusivamente per creare sfondi sonori d’impalpabile rarefazione armonica: la parte del leone la fanno le atmosfere sinfonico – crepuscolari dal chiaro sapore neoromantico, realizzate grazie alla collaborazione di un vero quartetto d’archi, al largo spazio concesso al pianoforte e a puntuali, quanto misurati, interventi di tromba.
Già da “Eos” si capisce che gli Ulver ci vogliono sorprendere di nuovo: drones appena accennati accompagnano la lenta e cupa melodia tracciata dagli archi, per poi sfociare in vere e proprie perle di ambient cameristico quali “All The Love” e “Like Music”; uso della batteria molto, molto parco (per tutto l’album la ritmica passerà costantemente in secondo piano rispetto alla melodia, vero filo conduttore dell’opera), a discapito dei frequenti dialoghi tra il timbro etereo del piano, quello scintillante della tromba e la solenne gravità della sezione archi, mentre i sintetizzatori lacerano qua e là, quasi impercettibilmente, il tessuto sonoro. Il resto dei brani si manterrà sulla stessa falsariga, tra episodi perfettamente a fuoco (cfr. la bellissima cover dei Black Sabbath e l’alternanza tra tenebre e luce della title – track) e altri meno convincenti (in primo luogo la troppo dispersiva “What Happened?”).
Per realizzare il loro full – length più lieve e onirico gli Ulver hanno rischiato grosso: il grandissimo talento di Garm e compagni è qui sottolineato per l’ennesima volta (ma la loro bravura e sensibilità musicale non è mai stata messa in discussione). Però la dimensione quasi astratta di “Shadows Of The Sun”, il suo lambire continuamente i confini tra musica e silenzio, il sussurro ininterrotto del canto, l’immergersi in atmosfere delicate e puramente interiori rischia di rendere il tutto troppo fragile e astrale, ostico da metabolizzare anche per chi è un loro accanito fan. Certo, la bellezza che s’irradia da questi nove pezzi è rara e assolutamente sui generis: ma non si può negare che si tratti di musica d’ascoltare esclusivamente in particolari condizioni ambientali e in determinati stati d’animo (leggi: nella penombra e quando la malinconia t’invade l’anima).
S.M.