[Thrash/Death Metal] Hatesphere – To The Nines (2009)
To The Nines – Backstabber – Cloaked In Shit – Clarity – Even If It Kills Me – Commencing A Campaign – The Writing’s On The Wall – In The Trenches – Aurora – Oceans Of Blood
http://www.hatesphere.com/
http://www.napalmrecords.com/
Aspettavo la sesta release degli Hatesphere con un misto di impazienza e di timore.
Se l’impazienza si può facilmente ricondurre alla fedeltà che ho nei loro confronti (“The Sickness Within” resta uno degli album più ascoltati del mio ipod), il timore era riferibile alle conseguenze che la defezione di ben quattro quinti della band (in seguito all’uscita del precedente platter, il valido “Serpent Smiles And Killer Eyes”) poteva aver portato. Intendiamoci, il timoniere della barca è sempre lui, il fondatore e chitarrista Peter “Pepe” Lyse Hansen, ma qualche perplessità sul futuro del combo era più che giustificabile.
Dal punto di vista strumentale “To The Nines” non delude, anche se ci sono voluti molteplici ascolti per giungere a questa conclusione. Tue Madsen (Earth Crisis, The Haunted, Heaven Shall Burn) ha curato la produzione e si sente, eccellente a dir poco. I riff sono sempre abbastanza ispirati, e questo è un gran sollievo, segno che Pepe non ha esaurito la vena creativa e che le new entries hanno dato un valido apporto alla causa, forse troppo.
Perché troppo? Perché il disco suona molto meno “Hatesphere” rispetto a quello che lo stile Thrash/Death dei Danesi ci aveva abituato fino a ora; i brani tirati e pestati ci sono sempre (“Backstabber” o “Aurora”), così come quelli che diventeranno un must nei live (“Cloaked In Shit”), ma la sensazione che qualcosa non sia al suo posto rimane.
Quello che mi spaventava di più in realtà era sentire come se la sarebbe cavata il nuovo vocalist, il giovanissimo (appena ventenne) Jonathan Albrechtsen, nel difficile ruolo di sostituto di Jacob Bredahl. La risposta è: straordinariamente bene per quanto riguarda potenza e talento nel growl (tutt’altro che deprecabile data l’età), molto meno in quanto a versatilità.
Jacob era capace di variare il cantato passando da una voce vagamente roca, a un grido isterico misto a growl, a growl veri e propri; un tratto molto particolare e di difficile replica, che sicuramente ha contribuito all’affermazione della band nel panorama europeo e non solo.
Jonathan tutto questo ovviamente non lo sa fare, e il risultato è un appiattimento e una banalizzazione dei brani. Pur non potendo escludere in futuro un’evoluzione delle sue capacità (ce lo auguriamo), attualmente il confronto è impietoso.
È qui che si incentra più di tutto il giudizio di questo full length: quanto più velocemente si accetterà l’idea di avere un nuovo vocalist (per quanto “incompleto”) dietro al microfono, evitando di pensare come avrebbe potuto rendere Jacob sulle medesime tracce, tanto prima ci si renderà conto di avere in mano un altro valido album targato Hatesphere.
Nicolò Barovier