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Che Dio benedica gli Enslaved! Esortazione quanto mai dovuta per una formazione storica che dai primi anni novanta, sino ai giorni nostri, continua a deliziare il proprio pubblico con dischi di fattura superiore, sapendo evolversi da padri assoluti del viking (o fra i padri, scegliete voi), a paladini della sperimentazione, senza mai perdere né la bussola, né la propria fortissima identità.
Che genere fanno gli Enslaved del 2008? Partiamo dall’ultima domanda che si dovrebbe fare per descrivere il nuovissimo Vertebrae, decimo album in carriera. Se i precedenti Isa e Ruun avevano qualche analogia di fondo, i nostri oggi sembrano aver intrapreso l’ennesimo nuovo corso di una carriera ricchissima non solo sotto il profilo artistico, ma anche di popolarità (gli ultimi due Grammy Awards consecutivi vorranno pur significare qualcosa). Una decisa virata verso sonorità prog, una direzione sempre più psichedelica, con atmosfere e melodie oniriche, condite da un flavour settantiano incisivo al punto giusto.
Sì perché in tutto questo gli Enslaved non rinunciano a se stessi, all’epicità innata della propria musica, alle emozioni strazianti di dischi come Frost o Eld (solo per citarne due), quello che è cambiato è solo il modo con cui Grutle e compagni hanno deciso di farcele pervenire alle nostre orecchie. Ne è nato dunque un album elegantissimo, dal mood oscuro e sinistro, come la stessa cover lascia presagire, meno aggressivo rispetto alle ultime uscite, più intimista e cerebrale, che si snoda su una scala di toni grigi e malinconici, pronti a esplodere nei frequenti interventi del cantato pulito, negli assoli dal vago gusto pinkfloydiano, o in intermezzi atmosferici dalla bellezza cristallina.
Otto tracce ottimamente rifinite per un album piuttosto complesso, che nonostante tutto riesce a toccare la sensibilità degli ascoltatori senza sforzi, basta solo approcciarsi con lo spirito giusto. Tornando alla domanda di inizio recensione… C’è ancora qualcuno veramente interessato? Credo di no. Passano gli anni, ma la classe degli Enslaved rimane, cheapeu!
Stefano Risso