C’erano una volta gli High On Fire di “The Art of Self Defense” (2000) e “Surrounded By Thieves” (2002), album di cupo doom/stoner ancora debitore delle narcolessie oppiacee degli Sleep, band di origine del leader Matt Pike. Poi, con il fondamentale “Blessed Black Wings” (2004), il trio statunitense ha accelerato i tempi, serrato il riffing e mostrato una personalità unica nel panorama metal del nuovo Millennio. Avvicinandosi, più di chiunque altro, a quel ribollire di elettricità primordiale che già era stata l’intuizione capitale dei Motorhead, i più punk tra i metallari e i più metallari tra i punk. Da allora è stato un continuo rincarare la dose, spingersi oltre nella ricerca del suono più barbaro e diretto possibile. “Luminiferous” potrebbe essere l’approdo definitivo, ma data la perseveranza del gruppo non c’è da esserne così sicuri. Al contrario, la sua grandezza non può essere messa in discussione.
Fondamentalmente il cd segue le coordinate del predecessore “De Vermis Mysteriis” di tre anni fa (alla produzione c’è sempre Kurt Ballou dei Converge), ma la qualità dei brani è mediamente superiore e il senso di minaccia fisica persino più elevato. Non si ha paura di sconfinare nello speed di “Slave the Hive” (fra Motorhead e primi Venom) o, addirittura, di lanciarsi in un pezzo thrash alla Sodom (con assolo Slayer-iano) come la title-track; gli High On Fire conquistano a forza di spallate, calci negli stinchi e entrate da rosso diretto. Ma, e questa è la vera carta vincente, sanno anche variare le atmosfere e cambiare dinamiche traccia dopo traccia. Il robustissimo mid tempo di “Carcosa” inneggia allo stoner più percussivo e muscolare, “The Falconist” riporta all’hard rock e al classic metal virato doom, “The Cave” è addirittura una semi-ballad che non fa mistero di riprendere la stupenda “Planet Caravan” dei Black Sabbath, anche se il riferimento principale è la cover dei Pantera, soprattutto per quanto riguarda la voce filtrata. Proprio la prova dietro al microfono di Pike è un altro punto di forza di “Luminiferous”: le sue corde vocali non sono mai state così duttili, e quando ce n’è bisogno il canto si fa quasi pulito.
Con la sezione ritmica che ti calpesta come una mandria di bufali in fuga, i riff grondanti grasso per cinghie di trasmissione Harley Davidson, gli assoli sparati a mille senza alcun ritegno, “Luminiferous” potrebbe essere la colonna sonora ideale per un film post-apocalittico ambientato in una civiltà desertica e distopica in cui acqua e motori sono i beni più preziosi e gli scontri fra acciaio e carne cruenti e all’ultimo sangue. Se qualcuno sta pensando al quarto Mad Max, è sulla strada giusta.