The Heavy Countdown #35: Hundred Suns, The Hirsch Effekt, Cursed Earth, First Signs of Frost

Hundred Suns – The Prestaliis
Chiamatelo supergruppo, side-project (negli Hundred Suns infatti militano membri di Norma Jean, Every Time I Die e Dead and Divine) o come cavolo vi pare. Ma “The Prestaliis”, il debutto degli HS, rimane un disco incredibilmente affascinante. I vari componenti infatti riescono a traslare le influenze dei loro main act in questo nuovo progetto, conferendogli quel tocco progcore che fa la differenza. E come se non bastasse, le reminiscenze deftoniane contribuiscono a rendere “The Prestaliis” una delle pubblicazioni più interessanti degli ultimi mesi.

DVNE – Asheran
Se in Italia sfido chiunque a dire “minchia oh, è uscito il nuovo disco dei DVNE”, all’estero la nuova release dei Nostri era attesa da tempo. E ammetto che, atteso o no, “Asheran” è davvero un gran bel lavoro. Partendo dal sempreverde assunto che tutti i sottogeneri sono per forza di cose derivativi, i DVNE riescono a infondere al loro progressive-stoner-death qualcosa di personale, bilanciando i voli pindarici con una pacca più che onesta.

The Hirsch Effekt – Eskapist
Stare dietro ai The Hirsch Effekt non è per niente facile. Ma se non vi stancherete di farlo, mi ringrazierete a lungo. Mathcore, garage punk, progressive, jazz (!!!) pigiati in quasi settanta minuti di disco non si sentono mica tutti i giorni. E il fatto che nonostante la varietà a prima vista mostruosa i pezzi che compongono “Eskapist” suonino come un unico flusso omogeneo è ancor di più merce rara. Quando dopo aver finito di dipanare la matassa della proposta dei The Hirsch Effekt vi accorgerete che cantano in tedesco, vuol dire che siete pronti per ascoltare di nuovo “Eskapist” con lo spirito giusto.

Cold Black – Circles
Debutto all’insegna del melodic metalcore (con un piede nell’electronicore) quello dei danesi Cold Black. Perciò ovviamente l’elettronica e i synth hanno un posto d’onore in poltronissima, mentre le chitarre, tra un coretto di “oh-oh” e l’altro, fanno ciao ciao con la manina dal loggione. Ma ci sono e si sentono. “Circles” ha l’indubbio merito di essere dannatamente catchy (provate a scollarvi dal cervello una “Call Of the Wild”, per dire), e ci manca ancora che non lo sia.

Cursed Earth – Cycles of Grief Volume I: Growth
I Cursed Earth non hanno un minuto da perdere. E lo dimostrano con questo EP, il primo di una trilogia che si preannuncia molto intrigante. Dieci minuti di pura misantropia, raccontata a suon di hardcore “metallizzato” con tonalità violente, cupe e pessimiste da una band che non le manda a dire a nessuno, e riesce anche a farlo spezzando la monotonia con cambi di tempo precisi quanto efficaci, guidati da una frontwoman, l’australiana Jazmine Luders, davvero cazzuta.

Dark Matter Secret – Perfect World Creation
Se vi basta sentire le parole Blotted Science per farvi drizzare le antenne, sappiate che questo disco potrebbe fare al caso vostro. Con abbondanti dosi di heavy classico rivisitate, l’EP dei DMS è probabilmente una delle uscite strumentali maggiormente interessanti del 2017. Uomo avvisato… (p.s.).

Lakeshore – 41
I fratelli Lionetti hanno fondato una nuova band. Ma state tranquilli voi che odiate gli Emmure, i Lakeshore non hanno proprio nulla da spartire con Palmeri e soci sopravvissuti. Infatti ci troviamo di fronte a un buon esempio di modern metalcore, fatto di melodie, (tanti) clean vocals e zero breakdown tamarri (alla Emmure appunto). C’è anche un buon vocalist a condurre il gioco, ma siamo nel territorio del già sentito ennemila volte. Cari Lakeshore, aspettiamo un full-length per capire davvero di che pasta siete fatti.

First Signs of Frost – The Shape of Things To Come
Il ritorno dei First Signs of Frost è tanto piacevole quanto inaspettato. I Nostri, dopo aver contribuito a gettare le basi del prog-core/djent, sono spariti nel nulla in seguito alla dipartita di Daniel Tompkins. Ma qualche anno più tardi, eccoli di ritorno dallo shock con un EP che per forza di cose deve essere accostato ai vecchi lavori di Tesseract e Skyharbor. Ma a differenza delle band appena citate, i FSOF sono troppo legati al passato, e a “The Shape of Things To Come” manca la voglia di sperimentare tipica del genere. Peccato (per ora).

Comity – A Long, Eternal Fall
Se i Nirvana di “In Utero” suonassero sludge, post-core e robe affini, probabilmente suonerebbero come il quinto disco dei Comity. Act assolutamente da conoscere per chi è alla costante ricerca di banducole che da noi non vedremo mai trattate ma che meritano sicuramente qualche minuto della vostra attenzione (p.s.).