The Heavy Countdown #12: Insomnium, Neurosis, Brujería, Sahg

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Insomnium – Winter’s Gate
Al settimo full length, gli Insomnium si cimentano in un’impresa che poche altre band hanno tentato in passato: realizzare un disco composto da un’unica canzone della durata di 40 minuti, divisa in sette capitoli. Sicuro ci sarà un motivo se questa pratica è così poco comune, ma la formazione finlandese sa come mantenere alta l’attenzione (e la qualità) per la quasi totalità di “Winter’s Gate”. Qui dentro ci sono prog, black, death e doom miscelati come il migliore dei cocktail. Insomma, abbastanza per fare andare in brodo di giuggiole chi ha voglia di roba un po’ strutturata.

2
Neurosis – Fires Within Fires
I Neurosis stanno invecchiando bene. Dimostrazione l’undicesimo full length, “Fires Within Fires”, che esplora e sviluppa le influenze ambient e progressive che hanno contagiato la band di Oakland negli ultimi tempi. La opener “Bending Light” lascia intuire in che direzione andrà il disco, con il suo sound post rock e gli inconfondibili vocals di Scott Kelly. Salvo switchare nella seconda metà (ovvero gli ultimi due pezzi sui cinque che compongono “FiresWithinFires”), verso lidi più meditativi e atmosferici.

3
Knife Hits – Eris
Una bella pugnalata alle spalle “Eris” dei Knife Hits. O meglio, tante piccole coltellate, che non superano mai i 3 minuti di durata, e che ti dissanguano lentamente. Una sublime agonia di 21 minuti per l’esattezza. L’universo di “Eris” è quello dell’hardcore/screamo, ma non ci si limita a questo. Non stupisce che pur nella estrema sintesi, i KH riescano ad esplorare anche il grind e il noise. Ma soprattutto ad aprirsi alla melodia in “Perpetual Lethargy”.

4
Lotus Thief – Gramarye
I Lotus Thief si definiscono post-black metal, space rock e ambient, ma nella loro musica c’è molto di più. Possiamo dire che “Gramarye” è la musica di sottofondo di un rituale antico e misterioso, accessibile solo agli iniziati. I vocals ipnotici e sognanti di Bezaelith sono tutto, ed è lei il collante tra gli innumerevoli cambi di rotta e di stile. A me piacciono perché ero una secchiona e mi ricordano con nostalgia il liceo e la letteratura greca, ma se volete un assaggio senza filtro ascoltate “The Book of Lies”, e forse vi farete un’idea della proposta dei Lotus Thief.

5
Sahg – Memento Mori
Il quinto disco dei Sahg è un trip nelle viscere degli incubi più oscuri. Le atmosfere cupe e deprimenti del doom misto al progressive metal della formazione norvegese (prendete “Silence the Machine”, per esempio) sono il sottofondo perfetto per una serata casalinga al riparo dai primi freddi. E non sono pochi i momenti in cui i Sahg ricordano i Pink Floyd (“Take It To the Grave”). “Memento Mori” è un disco da maneggiare con cura, ma se siete dell’umore giusto, vi darà grandi soddisfazioni.

6
Too Close To Touch – Haven’t Been Myself
L’apoteosi del Biebercore. Ecco cos’è il secondo lavoro in studio deiToo Close To Touch. So che i più inquadrati storceranno il naso, ma devo ammettere che trovo un disco del genere, con le sue melodie al limite del pop e infarcite di elettronica (“The Art Of Eye Contact” o “Translate”), molto più coraggioso delle miriadi di brutte copie dei Bring Me The Horizone simili che si trovano sul mercato. E poi non scherziamo, il frontman Keaton Pierce ha davvero una gran voce. Nonostante sia simile in maniera inquietante a quella di Bieber.

7
Brujería – Pocho Aztlan
In quasi tre decenni di storia i Brujería hanno partorito solo quattro full length e questo “Pocho Aztlan” viene dopo 16 anni di (relativo) silenzio. Come sempre, dietro i nomignoli splatter-ispanici si nascondono fior fior di musicisti (uno su tutti, Walker dei Carcass), che ci portano di peso in una puntata di Narcos in salsa grindcore. La titletrack mette subito in chiaro le cose: non si fanno prigionieri e si triturano ossa per tre quarti d’ora abbondanti. Ah, c’è pure una cover di “California Über Alles” dei Dead Kennedys, ribattezzata per l’occasione “California Über Aztlan”.

8
Exalt – The Shape You Took Before The Ache
All’interno della cosiddetta “new wave of hardcore” gli Exalt sono tra le formazioni più promettenti. I canadesi, alla loro fatica numero tre con “The Shape You Took Before The Ache” tirano in campo un buon sound alla Converge farcendolo di tanta sana sperimentazione fatta di ritmi singhiozzanti e decelerazioni tattiche (“Martyr Alone”). Risultato? Un disco viscerale e di grande impatto.

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