“Boarding House Reach” è il terzo album solista di Jack White. Le uniche certezze e conferme alle aspettative che offre sono il fatto di trovarsi al cospetto con un album complesso e sorprendente. Tutto il resto sono una sequela impressionante di schiaffi in faccia, schiaffi che arrivano dalla direzione esattamente opposta a quella dove un attimo prima White ti aveva detto di guardare. Giù oltre per questo dedalo impazzito di suoni e di stili in un divertimento allucinato che si spera non finisca mai.
Perchè è già alle prime note, dopo la “Connected By love” già assaggiata da tempo e già classico alle nostre orecchie, “Corporation” ci fa letteralmente saltare in aria con il suo funk seventies, il suo ritmo forsennato fatto di cori e percussioni su un riff da urlo di una chitarra sporcata all’estremo. Tutto è strano in questo album, da chitarre che suonano elettriche e pianole che suonano come chitarre, da ritmi r&b che si mescolano al funk e al rock puro, fino ad abbracciare la ballata country e il piano da camera.
Dimenticate le convenzioni, pochi ritornelli vi rimarranno in testa e pochi versi. Quello che vi rimarrà sono suoni che sono come scudisciate, momenti di epifanie musicali in uno schema che mai ti abbandona, lo percepisci continuamente anche se la cabina di pilotaggio ondeggia e sconquassa e le sue pareti vibrano e poi si fanno diafane fino a scomparire. Persino gli intermezzi sono momenti colloquiali di sorpresa e stile, così “Abulia e Akrasia” con protagonista un drammatico monologo di frontiera su piano e violino, così “Everything You’ve Ever Learned”, un urlo allucinato che distrugge tutte le tue convenzioni, così pure la dolce e acustica “Ezmeralda Steals The Snow”. Alle più ‘convenzionali’ “Over And Over And Over”, “Ice Station Zebra” e “Respect Commander” si affiancano esperimenti che sconvolgono per la loro audacia e resa musicale come l’ipnotica “Hypermisophoniac” , la funk “Get In Mind Shaft” che a tratti sarebbe la perfetta colonna sonora di un poliziesco degli ani ’70, il blues sensuale e polveroso di “Why Walk a Dog?”. Ennesima sorpresa è il finale dolce che si alleggerisce come un ritorno a terra dopo un volo allucinato, con il country di “What’s Done Is Done” e l’elegante piano di “Humoresque”.
Jack White ti chiede di abbandonare gli ormeggi e ti mostra il suo universo musicale, ricambiandoti con un ricongiungimento al coraggio rivoluzionario del rock a spesa di un impegno che è relativo e per nulla faticoso, attraversato il quale è raggiungibile il regalo di un divertimento puro e forsennato.