Kaiser Chiefs – Stay Together

kaiser-chiefs-stay-togetherKaiser Chiefs, “Stay Togheter”. Ci sono gruppi che seguono un percorso evolutivo lineare, altri che seguono un cammino tortuoso prima di salire alla ribalta senza magari conoscere la vera fama e solo sfiorare la consacrazione. I Kaiser Chiefs rientrano in un’altra categoria ancora: quella dei gruppi che a volte svoltano sulla base di pressioni ed esperienze esterne alla realtà della band, cose che da sole riescono a scatenare delle mini evoluzioni, che poi sta al pubblico definire involuzioni o innovazioni di stile e contenuti.

Con il sesto album “Stay Together” si assiste così a una svolta verso le grandi produzioni e il co-autorato, quello che sin dagli inizi la band di Leeds aveva indicato come il male della musica per una band di matrice indie. Dopo l’uscita dal gruppo di Hodgson che aveva portato nel 2014 alla pubblicazione del rivoltoso “Education, Education, Education & War”, la nuova svolta viene data ora al sound del gruppo dalle nuove idee di apertura del frontman Wilson, dopo le sue esperienze da giudice a The Voice.

È anche vero che Ricky e soci non sono più una band indie, non in senso stretto: il successo in patria e i riconoscimenti li hanno ottenuti fin dagli esordi e con la celeberrima “Ruby” hanno spopolato anche all’estero: la costante nei loro lavori era stata l’indipendenza compositiva e una presente critica della società e della politica moderna che, velatamente o dichiaratamente, si poteva cogliere nei loro testi. Ecco dunque che in questo 2016 i Kaiser sono meno incazzati e invece di parlare di ciò che li circonda parlano di più di quello che vivono, di aspetti più personali e sentimentali, tanto da far definire questo album come un lavoro sugli stati emotivi e sentimentali. “C’è un buco nella mia anima che può essere riempito solo da te”, urla Wilson “Hole In My Soul”, accompagnato da uno stuolo di archi.

Ecco… gli archi e il pop: l’altro fattore che si sente da subito è il peso della produzione internazionale di Brian Higgins (Girls Aloud, Pet Shop Boys, New Order) e del mixaggio di Serban Ghenea (The Weeknd, Beck, Taylor Swift, Justin Timberlake), capaci di dare un taglio moderno al sound del progetto – Wilson ha detto che non voleva vedere il proprio gruppo invecchiare come dei dinosauri della musica – tanto che il risultato a volte è che sembra di ascoltare i Duran Duran in vacanza ai tropici sotto l’effetto di qualche mojito di troppo. Poi si passa per le ballate e i sinth: quello che manca alla fine è il crepitio e lo scoppiettio dei Chiefs d’annata. Aggiungiamo il trittico finale di “High society” col suo farsetto ingannevole – un po’ stucchevole forse – , “Sunday Morning” col suo eco brit e il brano lungone del lotto, la chiusura del disco affidata a “Still Waiting” e alle sue parti strumentali. Alla fin fine non posso dire che questo sia un brutto disco, ma forse a me questa svolta dei Chiefs non pare quella giusta.
Che abbiano sbagliato loro o seguito le indicazioni sbagliate?

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