The Heavy Countdown #57: Khemmis, The Sea Within, Marduk, Bullet for My Valentine

Wind Walkers – The Lost Boys
Appena ho iniziato ad ascoltare “The Lost Boys” dei Wind Walkers ero già in brodo di giuggiole. È da tempo infatti che non mi capitava tra le mani un buon disco biebercore. In questo caso, il paragone con Justin è tutt’altro che forzato, in quanto i Nostri un paio di anni fa hanno coverizzato “The Feeling” del giovane canadese. Il nuovo lavoro della band del Massachusetts è quindi terribilmente catchy e molto equilibrato tra melodia ed energia, con un pizzico di elettronica ad amalgamare gli elementi. Divertente e senza pretese.

Night Verses – From the Gallery of Sleep
Onore ai Night Verses, che dopo l’addio del vocalist Douglas Robinson, hanno deciso di non rimpiazzarlo e proseguire trasformandosi in una formazione esclusivamente strumentale. Indagando gli aspetti più heavy del progressive e post-metal, ma lasciandosi sedurre spesso e volentieri da atmosfere post-rock, “From the Gallery of Sleep” è l’esempio vivente di quanto, a volte, una narrazione sia molto più efficace senza voce guida, lasciando alla mente dell’ascoltatore la libertà di inoltrarsi nei meandri di un’opera che richiede grandissima cura e attenzione, ma che restituisce altrettanta soddisfazione.

We Set Signals – Abandon Hope
Vi ricordate i We Set Signals? Qualche mese fa li avevamo lasciati con il loro EP, “Abandon Ship”, e la promessa di un’altra release entro la prima metà dell’anno. Bene, la giovane band ha mantenuto la parola, dando alle stampe un nuovo EP, speculare al precedente. I ragazzi, come già sappiamo, sono cresciuti a pane e A Day To Remember, continuando a sparare fuori pezzi che più catchy di così si muore, e con una modalità di pubblicazione molto al passo con i tempi. Anche se personalmente un full-length a breve lo pretendo.

Khemmis – Desolation
Ho voluto ascoltare a tutti i costi il nuovo disco dei Khemmis per cercare di capire come mai ne parlassero tutti, dalla webzine più sfigata alle testate di settore più blasonate. Per farla breve, “Desolation” è un lavoro per niente facile e immediato, ma in qualche modo, riesce a essere accessibile. Definito da molti “doomed heavy metal”, il sound dei Nostri è sporcato da influenze power e rock ‘n’ roll puro, con una sensibilità “pop” che non toglie un briciolo di credibilità alla proposta del quartetto di Denver. Ascoltare per credere.

The Sea Within – The Sea Within
“Mi sembra di aver già sentito questa voce”. Infatti. I The Sea Within sono un supergruppo formato dal vocalist Daniel Gildenlöw dei Pain Of Salvation e da membri di Transatlantic, The Flower Kings e da musicisti di Steven Wilson e Joe Satriani. Com’è prevedibile, il primo omonimo album della band è un mash-up di stili, idee e influenze diverse, tutte nel nome del prog. Un disco che sicuramente farà la gioia dei fan di tutte le formazioni appena citate, ma che talvolta risulta nel suo tripudio d’arte troppo strabordante.

Marduk – Viktoria
Penso che i Marduk abbiano bisogno di ben poche presentazioni, soprattutto per gli amanti del metallo di un certo tipo (se non avete la più pallida idea di cosa stia parlando, ascoltatevi “Panzer Division Marduk”). Il quattordicesimo (!!!) full-length degli svedesi non aggiunge né toglie nulla né alla discografia della band né al black metal in generale, ma ha l’apprezzabilissima qualità di essere asciutto e conciso, senza troppe storie, e di arrivare al punto in poco più di mezz’ora di running time.

Hollow Front – Still Life
Gli Hollow Front arrivano dal Michigan con questo gradevolissimo EP di debutto, che a discapito del titolo è tutt’altro che fermo e stagnante. Infatti, come molti act metalcore contemporanei, anche i Nostri riescono coprire l’abisso che va dalla pura introspezione agli standard più heavy del genere. Con in più un tocco di post-hardcore. Aspettiamo i ragazzi al varco con l’uscita di qualcosa di più corposo, ma come prima prova, pur senza re-inventare nulla, gli Hollow Front lasciano il segno.

Dwellings – Lavender Town
Ascoltando il nuovo disco dei Dwellings ho capito perché, come mi chiedevo qualche tempo fa all’uscita di “Artificial Selection” dei Dance Gavin Dance, il growl e lo screaming nel post hardcore/swancore dei Nostri abbiano ancora motivo di esistere. Semplicissimo, perché altrimenti non funzionerebbe. Non fraintendetemi, “Lavender Town” è un album davvero piacevole, ma a cui manca quel guizzo in più. C’è da dire a discolpa dei Dwellings che siamo appena agli inizi per questi ragazzi californiani, e il tempo per correggere il tiro e trovare una propria identità è tutto a loro favore.

Bullet for My Valentine – Gravity
Prendiamo “Gravity” come un capitolo trascurabile della carriera di Matt Tuck e soci. Nessuno si aspettava “The Poison 2”, ma neanche un lavoro che pare una commistione tra Linkin Park, Thirty Seconds To Mars dei primi dischi e anche Hoobastank (“Over It” somiglia a “Crawiling in the Dark”). Quindi tanta elettronica, a trasformare il loro sound trademark da metalcore a alt rock generico e piuttosto derivativo, e altrettanti pezzi orecchiabili ma senza anima. Passiamo oltre.

Like a Storm – Catacombs
Se qualcuno mi dovesse mai chiedere cosa mi è rimasto impresso maggiormente dopo l’ascolto di “Catacombs” dei Like a Storm direi senza indugio: l’abuso di autotune. Il terzo full-length di questi ragazzi neozelandesi (che in patria e negli States godono di un certo successo) viaggia sui binari dell’alternative coadiuvato da abbondanti dosi di elettronica. Inoltre, la band si è guadagnata il primato di essere tra i pochi al mondo a utilizzare in alcuni pezzi il didgeridoo (uno strumento della tradizione australiana). Ma non basta. Per quanto mi riguarda non riesco a fare a meno di togliermi dalla testa l’autotune.