La fame di vita è sempre stata un po’ il cuore della poetica di Lana Del Rey, da “Born To Die”, a “Ultraviolence”, fino a”Honeymoon”. Storie di passioni brucianti, di esperienze da divorare fino a quando fa male, ma questa volta il “Lust for Life” non è un dato di fatto, quella dannata attitudine da ringraziare contandosi le ferite. No, qui è una necessità, quella di vivere la propria vita, “capitani della propria anima”, trovando il posto che ci appartiene, dove “non è mai troppo tardi per essere chi si vuole essere e dire quello che si vuole dire”, e la pace interiore per abbandonarsi fino infondo alla vulnerabilità dei propri sentimenti, senza paura.
Forse “Lust for Life”, non è esattamente un disco maturo, ma sicuramente è il testimone di una bella presa di coscienza, della ricerca di un cambiamento. In questo quinto lavoro della cantautrice di New York si sente un gran bisogno di verità, di progresso – personale e non – e di libertà. “Prendimi come sono, prendimi, piccolo, in evoluzione”, canta in “God Bless America – And All the Beautiful Women In It”, o ancora in “Change”: “Il cambiamento è qualcosa di potente, lo sento arrivare in me, forse per il momento in cui qualcosa sarà accaduto, sarò capace di essere onesta”. Insomma, i testi delle sedici canzoni di quest’album sono pieni di domande e di ammissioni, un universo in movimento, sul quale gli ultimi tre pezzi “Heroin”, “Change” e “Get Free” fanno finalmente luce.
Dal punto di vista musicale, l’album (prodotto con lo storico collaboratore Rick Nowels), tornando a un gusto per la melodia vicino a “Born To Die”, sviluppa la linea già intrapresa nella seconda parte di “Honeymoon”, in cui la scrittura dal sapore evocativo, cinematografico e la vocalità estatica, caratteristici di Lana, vanno sovrapponendosi a basi elettroniche mutuate dalla trap. Ci sono però pezzi decisamente interessanti, tipo “Cherry” e “Summer Bummer” feat. A$AP Rocky & Playboi Carti, in cui questo connubio risulta venato da un sapore quasi trip-hop.
Un primo passo avanti in un lavoro, che, di base, presenta tre novità. La prima riguarda le tante collaborazioni, una serie di featuring piuttosto imprevedibili. Ci sono Benny Blanco e Emile Haynie alla produzione nel singolo “Love”, The Weeknd nella title track, A$AP Rocky in “Groupie Love” e ancora con Playboi Carti in “Summer Bummer”, featuring che pur offrendole una piacevole nota di freschezza, non stravolgono la cifra stilistica di Lana. E poi ci sono la grandissima Stivie Nicks in “Beautiful People Beautiful Problems” e Sean Ono Lennon in “Tomorrow Never Came”, due chicche che introducono la seconda sorpresa del disco: l’anima acustica, che prende piede da “When The World Was at War We Kept Dancing” per esplodere nel dialogo con Stivie e Sean. Un assaggio di ciò che verrà?
Infine, ultima novità, l’inserto della tematica socio-politica in pezzi come “Coachella – Woodstock In My Mind”, “God Bless America – And All the Beautiful Women In It” e, la già citata “When the World Was At War We Kept Dancing”. Un rischio per un’artista con un’audience ampia e trasversale come Lana Del Rey, ma “Choreo, we want the fucking truth”!
“Ho fatto i miei primi 4 dischi per me, ma questo è per i miei fan”, aveva dichiarato Lana alla vigilia dell’uscita di “Lust For Life”, suscitando il timore di una sorta di ruffiano best of. Invece no, questo è un lavoro ricco di input, che, sviluppati, potrebbero portare a percorsi molto diversi tra loro. Un disco per tutti quelli che, saltati nel cassone del pick-up di questa ragazza americana tra “Born To Die” e “Honeymoon”, hanno scelto di accompagnarla nel suo viaggio, pieno di tappe, ma senza destinazione.