Vasco Brondi è tornato ed è cresciuto negli arrangiamenti, di maturità e di esperienze nella voce, che si è fatta più scura e avvolgente. Non è cambiato nulla nella scrittura delle canzoni, però: nel nuovo lavoro in studio pubblicato il 3 marzo 2017 e intitolato “Terra“, Le Luci Della Centrale Elettrica riconferma uno stile con poche iniezioni di novità. Chiariamo subito un punto, prima che si scatenino i guerriglieri del cantautore ferrarese: “Terra” è un buon disco. Ci sono alcuni momenti interessanti che variano dal classico Vasco Brondi cui si sono abituate ormai due generazioni, ma il quarto lavoro in studio de Le Luci della Centrale Elettrica non mi ha fatto strappare i capelli o gridare al capolavoro, per usare due frasi fatte belle comode.
È facile avere le parole per descrivere qualcosa che ci è piaciuto, più complicato è esporre dei dubbi in germoglio: figuriamoci provare a farlo in un’epoca dove le opposizioni e le contrapposizioni dominano le giornate. Sento di doverlo fare, però.
In “Terra”, Vasco Brondi descrive il mondo di oggi, addì 2017, a modo suo: ci sono i social network (“Iperconnessioni”), ci sono i migranti (“Waltz degli scafisti”) e il futuro “che arriva all’improvviso” (“Qui”), la società della provincia tanto decantata (“Nel profondo Veneto”), gli amori che ti permettono di provare ogni sentimento (“A forma di fulmine”, la traccia che apre il disco, è un quadretto vascobrondiano perfetto). Ma c’è anche noia, quella che prova l’ascoltatore pure al secondo e terzo ascolto; nel tentativo di trovare il brandello di comprensione, si forma nella testa un pensiero che continua a recitare “Ok, quindi?”.
I testi per cui è diventato celebre, anche suo malgrado, sono elenchi infiniti di concetti, tipo una lista della spesa di pensieri. Non sempre sono incisivi, a volte si sorride pensando che verranno copiati su qualche agenda o qualche status di Facebook per fare effetto. Frasi che non restano che per un frammento di secondo: abbiamo superato l’era del generatore automatico di testi di Vasco Brondi, ok, ma da questo punto metafisico siamo passati ad elencare cose e sensazioni come fanno da anni anche altri, vedi Jovanotti.
Per fortuna gli arrangiamenti omogenei, morbidi ma intelligenti, riescono a risollevare l’attenzione: da questo punto di vista “Terra” rappresenta un sincero passo avanti per il cantautore ferrarese, che almeno prova ad esplorare il mondo del Mediterraneo a modo suo. Da questo punto di vista, il connubio tra il suo cantato orgogliosamente monocorde e le musiche è sicuramente riuscito.
Tra i brani migliori “Qui”, dagli echi arabeggianti, la sincopata “Stelle marine” e “Waltz degli scafisti”, un dolce trequarti. Personalmente, continuo a sottolinearlo, da “Terra” de Le Luci Della Centrale Elettrica mi aspettavo quantomeno di più. Un passo avanti è stato fatto nelle musiche, ora bisogna provare a crescere anche nei testi. Gli anni zero sono finiti.