Per Till Lindemann non dev’essere stato molto difficile scrivere “Skills In Pills”, primo album del supergruppo Lindemann, formato appunto dal cantante dei Rammstein e da Peter Tägtgren, leader degli Hypocrisy, creatore di molti side-project nonché produttore di centinaia di dischi metal tramite i suoi famigerati Abyss Studio. Presentato alla stampa come un incrocio fra il cantato della band tedesca e la musica dei Pain, secondo gruppo in ordine d’importanza nella carriera del musicista svedese, l’album sembra in realtà un vero e proprio sfogo solistico di Till, il quale opta senza alcun ritegno per un’estremizzazione tamarra e ballabile del suono e delle tematiche del suo complesso d’origine. Si abbandona il tedesco per l’inglese, e dal canto suo Tägtgren si preoccupa di fornire la solita produzione luccicante e pomposa in grado di caricare i pezzi di ancor più fotta da party metallaro; ma per il resto le orchestrazioni, l’elettronica, i cori, i riff e le cadenze cingolate di quasi tutte le tracce sono Rammstein al 100%.
Parafrasando i Santarita Sakkascia, il cd potrebbe venire ribattezzato “Industrial Metal Cafone”. Eccezion fatta per le più introspettive “Home Sweet Home” e “Yukon”, le dieci canzoni che lo compongono (se ne aggiunge una nelle edizioni speciali) sbraitano tutte una sorta di compiaciuto e grottesco umorismo intriso di sesso e morte. È però la prima componente a farla da padrone, quasi come se “Pussy” fosse stata allargata a dismisura e occupasse ora un LP intero. Titoli come “Ladyboy”, “Fat”, “Fish On”, “Praise Abort” e soprattutto “Golden Shower” non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni. Il tipo d’ironia rimane tipicamente tedesco, e nonostante il cambio di lingua le origini del progetto balzano subito all’orecchio. I primi a non prendersi sul serio sono proprio i due artefici della band, e questo è indubbiamente positivo. Tägtgren stesso parla di un party album ideale per una sorta di pre festeggiamento prima di uscire e andare al bar.
Purtroppo, però, a livello puramente musicale non tutto funziona come dovrebbe. E gli episodi migliori sono proprio quelli più simili ai vecchi cavalli di battaglia dei Rammstein. La title – track, dal ritornello molto simile a quello di “Keine Lust”, è uno di questi. “Children of the Sun” riprende addirittura inflessioni da “Sehnsucht” (1997), in particolare da “Engel”, mentre “Golden Shower” si avvicina a un incrocio fra “Bück Dich” e “Mein Teil”. Anche la techno – metal “Praise Abort” non è male, e in generale quando i cori sono ben costruiti il duo fa centro. Al contrario, in molti frangenti i chorus sono insipidi e gli arrangiamenti piatti, se non esageratamente pacchiani: ad esempio, nessuno sentiva il bisogno di quell’intro d’organo in “Fat”. In breve, a fronte di tre-quattro pezzi veramente belli, ce ne sono altrettanti che si possono tranquillamente considerare mediocri filler e un paio che galleggiano nel limbo del carino ma dispensabile.
“Skills in Pills” esce proprio all’inizio dell’estate, e non è un caso. Può fare sicuramente la sua porca figura nel campeggio di Wacken o dei vari festival metal che si terranno fra poco, insieme a tanta birra. Allora diverte. Rimane tuttavia, ed è lo stesso Lindemann a dirlo, una semplice pausa dai Rammstein.