The Heavy Countdown #111: Loathe, Sylosis, Sepultura

Loathe – I Let It in and It Took Everything
“I Let It in and It Took Everything” è il disco che permetterà ai Loathe di farsi finalmente e meritatamente notare da un pubblico molto più esteso rispetto al passato. Anzi, a dirla tutta, un certo Chino Moreno li ha già apprezzati pubblicamente, lodando le sonorità alla Deftones del singolo “Two-Way Mirror”. Una svolta solo all’apparenza spiazzante quella dei Nostri, perché, nonostante la violenza passi in secondo piano rispetto al debutto “This Cold Sun” (escludendo pezzi tipo “Broken Vision Rhythm” e “Gored”), il sensibile ammorbidimento della proposta del quintetto di Liverpool è l’altra faccia della medesima medaglia. Senza snaturarsi, i Loathe abbassano (e puliscono) la voce e i ritmi dello stesso sound che ha fatto la loro fortuna nel circuito underground (un mix esplosivo di hardcore, djent e un pizzico di black metal). E ora, si spera, anche su una scala più larga.

Sylosis – Cycle of Suffering
Sylosis è da sempre sinonimo di qualità. Seppur inattivi dal 2015, e con Josh Middleton arruolato part-time negli Architects, il quartetto britannico dà alle stampe un lavoro in cui vecchio e nuovo si incontrano, grazie a reminiscenze thrash e un amore neanche troppo nascosto per la melodia (senza per questo offuscare la brutalità complessiva), unito a una produzione da paura. “Cycle Of Suffering”, per il genere a cui appartiene, è un disco piuttosto lungo con i suoi 50 minuti di running time, ma incredibilmente a fuoco e pressoché privo di filler (dal singolone “I Sever” a scendere). E sorpresa, riesce a convincere anche la power ballad finale, “Abandon”, pur addentrandosi in territori a cui i ragazzi sono poco avvezzi. Per ora.

Envy – The Fallen Crimson
Una lunga e onorata carriera, che a quasi 20 anni dagli esordi, sembrerebbe non provare alcun cedimento. “The Fallen Crimson” infatti è la dimostrazione non solo di quanto gli Envy siano stati pionieristici, ma anche che l’esperienza non si traduce per forza in ripetizione della stessa formula fortunata. il nuovo lavoro del sestetto giapponese sa essere vario e pieno di contraddizioni, etereo ed abrasivo, come una mattina invernale di gelo e sole. Post-rock, post-hardcore e un velo di shoegaze, per una musica che sa andare ben oltre i confini dello spazio e del tempo e delle barriere linguistiche (non fatevi ingannare dai titoli in inglese, i testi di “The Fallen Crimson” sono interamente in giapponese).

Our Mirage – Unseen Relations
Ricetta vincente non si cambia. Con questo assunto ben chiaro in testa, i tedeschi Our Mirage danno alle stampe il loro secondo album, “Unseen Relations”, a quasi due anni di distanza dal precedente “Lifeline”. La direzione del melodic metalcore del combo teutonico è ben precisa fin dal debutto, e sebbene non ci si può aspettare che i Nostri riscrivano gli stilemi del genere, “Unseen Relations”, così come il suo predecessore, è un lavoro in cui emozione e aggressione viaggiano sugli stessi binari, spesso con risultati anche coinvolgenti e tremendamente catchy (vedi la opener “Rivers” e “Strike a Match”, per esempio).

Sepultura – Quadra
Se “Quadra” dei Sepultura sta ricevendo ovunque una buona accoglienza un motivo ci deve essere. Sebbene i confini (e per alcuni versi, i limiti) siano quelli settati da tempo immemore, l’ultimo full-length di Andreas Kisser e soci si presenta nel suo complesso come una chicca tardiva della storica formazione, un’aggiunta molto gradevole a un già esaustivo catalogo (“Quadra” è il quindicesimo disco in carriera). Un’occasione colta per togliere un po’di polvere dalle radici thrash (“The Pentagram”) e per far brillare ancora una volta le influenze tribali (“Means To an End” e “Autem”).