Nei loro 25 anni di vita, i Marduk hanno attraversato almeno 3 fasi di carriera piuttosto distinte. Durante i Novanta sono stati Il black metal svedese, con buona pace dei Dark Funeral, ai quali hanno anzi spianato la strada. Il trittico costituito dal controverso “Panzer Division Marduk” (1999) e dagli scialbi “La Grande Danse Macabre” (2001) e “World Funeral” (2003) ha rappresentato una crisi generale d’idee e prospettive. Con l’abbandono di Legion e l’arrivo di Mortuus (Funeral Mist) dietro al microfono si è assistito a una lenta rinascita, culminata con l’eccellente “Wormwood” (2009): la scelta di virare verso uno stile meno diretto e più intricato, filiazione del contemporaneo religious black metal, ha finito per pagare e convincere anche i fan della prima ora. Inaspettatamente, “Frontschwein” fa dietrofront e torna, almeno in parte, alle vecchie atmosfere. Ma non si dimentica dell’evoluzione compiuta da Morgan Håkansson e compagni e centra perfettamente il bersaglio.
Le tematiche militari sulle quali è imperniato (la sparatissima “Afrika” dice tutto nel titolo, mentre il mid tempo sulfureo virato doom di “503” è dedicato all’omonimo battaglione corazzato tedesco che combatté prevalentemente sul Fronte Orientale durante la Seconda Guerra Mondiale) sono un chiaro omaggio al già citato “Panzer Division…”, l’album più veloce e monocorde della band, talmente povero di dinamiche da stufare dopo un paio di ascolti (un peccato, perché certe intuizioni sarebbero state interessanti, se sviluppate con un pelo in più di fantasia). Per fortuna, nel nuovo lavoro il quartetto non commette lo stesso errore, anzi diversifica il più possibile le varie velocità d’esecuzione e assesta parecchi colpi da KO. Tutto è studiato al millimetro, non c’è spontaneità né nella scelta della tracklist, che per metà segue l’andamento “brano veloce e furioso in blast beat seguito da mid tempo cadenzato”, né nei singoli riff. Però tutto funziona a meraviglia. Le fulminanti “Rope of Regret”, “Between the Wolf-Packs”, “Falaise: Cauldron of Blood” e title – track pestano che è un piacere, dando lustro all’antico sound di “Opus Nocturne” (1994) e simili; fanno da contraltare a queste, e alla frenesia parossistica della conclusiva “Thousand-Fold Death”, le più lente e soffocanti “The Blond Beast” e “Wartheland”, ugualmente terremotanti nell’incedere marziale e nel rifferama realmente morboso e oscuro, molto simili a certi episodi del precedente “Serpent Sermon” (2012). Ma in “Frontschwein” si trova persino di meglio: la solenne marcetta di “Nebelwerfel”, dall’incedere quasi norvegese, racchiude una delle migliori prove vocali di Mortuus, mentre gli oltre 8 minuti di “Doomsday Elite”, con i loro continui cambi di tempo, sintetizzano perfettamente i due volti dei Marduk.
Per certi versi il tredicesimo studio-album degli scandinavi ha del clamoroso. Pochi gruppi con una tale anzianità alle spalle riescono ad essere ancora così convincenti. Siamo nel 2015, gli espedienti compositivi sono vecchi di due decadi e la produzione è in linea con i dettami della “loudness war”. Questo però non toglie di avere a che fare con uno dei possibili dischi black metal dell’anno.
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