Motori accesi, il sole sul deserto brucia tutto, pietre sabbia e desideri, e noi partiamo. La radio accompagna il nostro viaggio fantasma verso il nulla. La voce di Mark Lanegan esce dagli altoparlanti a scaldarci l’anima, come il sole del deserto, ad asciugarci, a dannarci di piacere. Siamo felici nella “Harvest Home” che apre le danze maledette di questo nuovo lavoro del re delle tenebre, “Phantom Radio”. I pneumatici scorrono sull’asfalto cocente, e dentro l’abitacolo è tempo di giudizio fatto di cruda chitarra acustica e voce suadente (“Judgement Time”). Il ritmo si fa più sostenuto e aumentano gli strumenti, man mano che il parabrezza diventa sempre più sporco di sabbia e insetti, la velocità aumenta e la frizione del vento secco si fa sentire, si susseguono in scorrevole maestosità “Floor To The Ocean”, “The Killing Season” e “Seventh Day”, divertimento e complicità lucifera: siamo già schiavi. Animali selvatici si avvicinano incuriositi al fiume grigio della carreggiata e fanno da testimoni celebranti del nostro passaggio musicale, mentre noi imperterriti ci trasformiamo in lupi assetati e affamati, passiamo in un rombare di motori e nulla ci può più fermare. “I’m The Wolf”, ci diciamo con Mark, guardando i nostri occhi riflessi nello specchietto retrovisore. I chilometri macinati sono già abbastanza per concederci un momento e guardarci intorno, fermarci e rallentare per ricordarci che anche i lupi hanno un cuore, a volte ferito e disperato nel senso più classicamente romantico del termine. La radio fantasma ci regala un fiore di rara bellezza, “Torn Red Heart”, dolce e suadente, nostalgica come può esserlo solo un tramonto nel deserto, con i suoi colori rossi da sipario in un palcoscenico di solitudine.
La benzina è ancora tanta come la nostra voglia di musica. Il sole è calato, il cielo è freddo e impietoso come può esserlo solo nel deserto, spietato ma passionale. Le stelle sono presenti e luminose e controllano immobili il nostro passaggio sotto il tetto blu scuro e ci facciamo avvolgere dal cantato di “Waltzin In Blue”, un gospel che riscalda l’abitacolo, mentre fuori la temperatura precipita in un paesaggio sconfinato orfano del Dio Sole. Solo le persone selvagge possono attraversare questi sentieri, l’atmosfera si scarnifica ancora in “The Wild People” fin quasi a ritrovare il Mark Lanegan degli esordi solisti di “The Winding Sheet”, una litania che ipnotizza e mette di fronte al proprio ego più profondo e nascosto, ai peccati inconfessabili che si credevano dimenticati. L’alba e i suoi colori che contrastano le tenebre rinvigoriscono il nostro spirito e chiudiamo il viaggio con un ghigno demoniaco, una corsa verso la meta ideale, “Dead Trip To Tulsa”, un’ennesima esplosione di strumenti ad accompagnare l’acidità corrosiva ma irresistibile della voce di Lanegan.
Il viaggio è concluso, il motore si spegne, la radio tace. Un ennesimo regalo di Mark Lanegan a chi ama la musica. Se vogliamo trovare un punto debole, “Phantom Radio” risulta meno ispirato nei singoli episodi, ma solo se paragonato al resto della carriera solista o agli altri due lavori sotto il marchio “Mark Lanegan Band”, soprattutto nel caso di “Bubblegum”. Il risultato nella sua totalità è in ogni caso un’esperienza irresistibile e talmente piacevole da portare ad un ascolto ripetuto e compulsivo. Non smettere mai Mark Lanegan. Riaccendiamo il motore, inversione a U, “Phantom Radio”, prima traccia. Si riparte.
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