You Won’t Be The Same Ever Again – The Lamb’s Path – Lay Low – Borderline – Burn The Margins – The Hive – Funhouse – Not Meant For Light – The Wait – Donovan – Division –
Myspace dell’artista
Etichetta discografica
Greg Weeks, già membro degli Espers, dichiara in questo suo nuovo cd essenzialmente due cose: tutta la sua preoccupazione per i tempi che corrono, e l’amore incondizionato per la psichedelia e il rock progressivo degli anni settanta.
Per sua stessa ammissione il Mellotron, che in questo album gioca una parte dominante, è il suo “animale guida” come musicista e nelle sue composizioni possiede un ruolo fondamentale, evocativo di certi suoni che si possono ascoltare in natura, come il ronzare delle api (hive in inglese vuol dire alveare). In certi momenti sembra di ascoltare quello che potrebbe venire fuori se in un’ eventuale seduta spiritica si evocassero gli spiriti di Nick Drake e Tim Buckley e si chiedesse loro di commentare il nostro mondo.
La malinconia che permea praticamente ogni brano di questo album ne fa un disco in pieno stile Wichita, e nel caso della cover di “Borderline” di Madonna diventa quasi “di maniera”. La canzone viene infatti stravolta, rallentata e svuotata di ogni sua apparenza easy listening per essere poi lasciata al crudo significato di canzone sull’ossessione d’amore. Un approccio che potrebbe ricordare certi esperimenti di gruppi slow core alle prese con le hit del mondo del pop, ma forse affrontato in maniera più naif, in questa occasione.
Fra le cose più interessanti troviamo senza dubbio l’attenzione alle armonie vocali, curatissime ed indispensabili per dare spessore al cantato a volte un po’ scarno, e l’utilizzo dei flauti, che sono forse il ponte più evidente verso gli anni settanta del revival folk e dei “menestrelli”, oltre che il tramite attraverso il quale Greg ci ricorda il suo amore per il prog italiano, sua evidente fonte di ispirazione.
L’unico neo in tutto il lavoro è la terza traccia, “Lay low”, un pezzo che potrebbe essere anche molto affascinante se non fosse deturpato da un riff di chitarra veramente kitsch che lo rende indigesto. Per il resto questo album è bello perché è colto, perché è stracolmo di citazioni, perché è intenso, e non è facile trovare intensità di questi tempi: quando succede bisogna farla propria, avidamente, anche a costo di stare sempre lì, davanti allo stereo, aspettando che arrivi la traccia tre per schiacciare il tasto di Fast Forward.
Francesca Stella Riva