[Alt/Country] Bonnie Prince Billy – Beware (2009)
Beware Your Only Friend – You Can’t Hurt Me Now – My Life’s Work – Death Final – Heart’s Arms – You Don’t Love Me – You Are Lost – I Won’t Ask Again – I Don’t Belong to Anyone – There Is Something I Have To Say – I Am Goodbye – Without Work, You Have Nothing – Afraid Ain’t Me
http://www.myspace.com/bonnieprincebilly
Spesso e volentieri ci si ritrova, ascoltando questo album, ad aspettare con ansia gli ultimi trenta secondi delle canzoni sperando che queste si svuotino, in modo da poter finalmente apprezzare la stupenda vocalità di Bonnie Prince Billy. Da qui il pensiero che più ricorre durante l’ascolto: qualcuno dovrebbe spiegare a questo signore di Louisville che la perfezione non esiste, perché è questa che ricerca fin dal primo minuto: una precisione negli arrangiamenti molto lontana dal percorso che aveva finora tracciato, schiava dell’idea che una canzone non sia completa se non è ridondante di archi, cori femminili, e lap steel riverberate. Un’idea da cantante country di provincia.
Il risultato è che il tutto, con la sua prospettiva orchestrale, i suoi cori femminili spesso e volentieri kitsch e i suoi violini che più cliché non si può, suona come una bellissima lezione di country (“You are lost” su tutte, che contiene forse la più bella traccia di steel guitar mai incisa da lui), ma come una lezione vecchia già alla nascita, e segna inoltre un terribile passo indietro rispetto alla sua produzione.
Gli unici momenti di luce, ed è la luce abbagliante a cui ci aveva abituati, arrivano con la semplicità di “Death Final”, imbruttita comunque dall’assolo finale di violino, ma soprattutto con “There Is Something I Have To say”, vuota, sporca e spettrale ma finalmente intensa, unico momento in cui
viene abbandonata l’ossessiva tendenza a “riempire” di cui prima si diceva. Paradossalmente risulta interessante anche “I Am Goodbye”, la più ruffiana di tutte, con un assolo di chitarra che più rozzo non si può, un violino che finalmente si scosta dagli stilemi del genere e un po’ di handclapping, che male non fa mai.
Inutile dire che, per quanto “Beware” sia interessante, coraggioso nel suo ritorno alla tradizione, e più smaccatamente amabile rispetto a tutti gli altri precedenti, speriamo che sia solo un esperimento, un diversivo per respirare aria diversa, e non il primo, deludente passo verso un nuovo corso.
Francesca Stella Riva