[Alternative Rock] Arctic Monkeys – Humbug (2009)
My Propeller – Crying Lightning – Dangerous Animals – Secret Door – Potion Approaching – Fire And The Thud – Cornerstone – Dance Little Liar – Pretty Visitors – The Jeweller’s Hands
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La più importante band inglese degli ultimi anni ritorna con il terzo disco a far parlare di sé. E’ giunto il momento di stabilire se il gruppo è effettivamente valido o solamente il classico fuoco fatuo pompato dai soliti media anglosassoni: i quattro ragazzi rispondono con la loro nota sfacciataggin: questa volta l’irriverente motto è:’Vi sono piaciuti i primi due dischi? Beh cazzi vostri, perché questo non c’entra nulla’. Già, è ora di capire se gli Arctic Monkeys vi piacciono veramente.
Alex Turner e soci hanno deciso che le storie di giovinastri alle prese con avventure festaiole londinesi possono aspettare: preso l’aereo, si sono rifugiati nel deserto con Josh Homme (il capo dei Queens Of The Stone Age) per registrare la maggior parte del disco. Il risultato è cupo, più atmosferico, decisamente più cerebrale e meno facile da ascoltare. Turner sembra abbandonare il suo classico torrente di parole spinto con fare cazzone da vocals tra il dub e il surf rock, per dedicarsi a linee vocali più convenzionali, suadenti e recitate. L’apertura con ‘My Propeller’ e il primo singolo ‘Crying Lighting’ sintetizzano perfettamente il mood del cd: giri di chitarra tra i ’60 e i ’70, voce ammaliante. Qualcosa sembra svegliarsi con la batteria incalzante di ‘Secret Door’, pezzo con un ottima progressione. Viene fuori tutto lo zampino di Homme nel riff e nei cori di ‘Potion Approaching’, il lavoro sembra prendere ritmo e Turner tornare allo stile di canto più consono, ma un paio di lenti poco convincenti affossano il tutto (non è la prima volta che si perdono così).
Per fortuna il finale contiene un paio di chicche interessanti come ‘Dance Little Liar’ e ‘Pretty Visitors’. La prima ha un’atmosfera crepuscolare e col suo incedere misterioso, fino all’esplosione finale, è il miglior manifesto di questa nuova versione degli Arctic Monkeys. ‘Pretty Visitors’ è più vicina al loro classico stile schizzato e contorto, pur portando novità come l’organo e un coro cadenzato e marziale, per niente fun, che fa capire benissimo come in questo disco il colore da indossare sia il nero.
Opera difficile da mandare giù, soprattutto per chi si sballava con ‘I Bet You Look Good On The Dancefloor’. Arduo dire che impatto avrà sulla loro discografia: sono ancora freschi di successo, c’è un sacco di gente che li vuole vedere, hanno già un tour sicuramente sold out prenotato…difficile che questo album possa essere un passo falso per loro…probabile che resti un episodio isolato. Non un esperimento completamente fallito, ma di sicuro non all’altezza degli altri.
Marco Brambilla