[Alternative Rock] Linkin Park – A Thousand Suns (2010)

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I fan che sperano di sentire le urla da ossesso a cui Chester Bennington ci aveva abituati in “Hybrid Theory” e “Meteora” se ne facciano una ragione. Il trip sperimentale dei Linkin Park procede nel naturale completamento del discorso elettronico solo accennato nel precedente “Minutes to Midnight”. Chi non è mai stato un fan accanito del sestetto californiano rimarrà senza dubbio colpito dalle sonorità elettroniche, robotiche e tribali con le quali il gruppo ha deciso di cimentarsi per la sua ultima fatica. Colpito nel senso che è abbastanza atipico che un gruppo nu-metal decida di cambiare genere radicalmente ed allontanarsi dalle sue radici in modo così netto. L’album esce a tre anni di distanza da “Minutes to Midnight” e si presenta come una catena di 15 canzoni, di cui 6 interludi (la cui presenza così numerosa è l’unica particolarità comune anche ai precedenti album), che hanno come filo conduttore temi socialmente impegnati. Ad esempio, in “Wretched and Kings”, uno dei pochi se non l’unico pezzo che ci ricorda i Linkin Park di una volta, l’intro è tratta da una dichiarazione di Mario Savio (attivista statunitense di origine italiana, ndr). O anche “Wisdom, Justice and Love”, che è una dichiarazione di Martin Luther King con una traccia di pianoforte come sottofondo. Ma verso la fine la voce di quest’ultimo diventa robotica ed inquietante, quasi a volerci dire che ormai non abbiamo più niente in cui sperare.

Il primo singolo “The Catalyst” è una delle due o tre canzoni convincenti dell’album. E’ l’ideale passaggio del testimone tra ciò che erano i Linkin Park e ciò che sono, e forse saranno. Scorgiamo ancora quella vena arrabbiata che ha fatto innamorare di loro milioni di fan ma l’elettronica fa già capolino in modo sufficiente da far capire all’ascoltatore che non si troverà a che fare col solito disco nu metal a cui era stato abituato in passato. “When They Come For Me” potenzialmente non è niente male. Forse pecca solamente di eccessivo ritmo tribale, al quale fatichiamo ancora ad abituarci. “Blackout” invece ci lascia un po’ disorientati. Nella parte iniziale, infatti, abbiamo Chester Bennington che urla come ai vecchi tempi, nella seconda metà invece subentra Mike Shinoda a ricordarci che è l’altra anima dei Linkin Park. Più che un’idea di coesione fra due frontman, sembra che i due leader vogliano affermare distintamente la loro identità in questo pezzo.

La sopracitata “Wretched and Kings” è l’altra traccia convincente al 100% di “A Thousand Suns” ed è probabilmente una delle migliori canzoni rap/rock mai composte dalla band, ai livelli di quelle delle origini. E’ un peccato che questa perla sia solo un episodio, l’album avrebbe sicuramente tratto giovamento da un maggior numero di canzoni come questa. La cosa che ci fa storcere di più il naso di fronte a questo album non è tanto la sperimentazione elettronica, un artista o gruppo durante la sua carriera avverte ogni tanto il bisogno di avvicinarsi a mondi diversi da quelli esplorati fino a quel momento. L’elemento disturbante è, invece, la presenza di ballate che riteniamo abbastanza fuori luogo, come per esempio “Robot Boy” o la traccia conclusiva “The Messenger”, che ha come unico pregio quello di mettere in risalto le doti vocali del frontman.

L’ultima fatica degli statunitensi è destinata a dividere il pubblico e la critica. Ci saranno nuovi sostenitori che plauderanno alla loro evoluzione, ammiratori che continueranno a seguirli nonostante la metamorfosi delle loro sonorità ma ci saranno anche fan che si sentiranno “spaesati” perché non riconosceranno più i loro beniamini, che una volta erano tanto incazzati.

“A Thousand Suns” non è un album che si può comprendere ad un primo ascolto ma necessita di essere approfondito a dovere per essere compreso al meglio e coglierne sempre più sfaccettature. Tanto di cappello per il coraggio e la voglia di reinventarsi da zero, il problema è che la qualità della proposta è in drastica picchiata… A questo punto è lecito chiedersi quali “sorprese” ci riserveranno i Linkin Park per il futuro.

Claudia Falzone

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