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Secondo album per i Dead Confederate, band proveniente dal sud degli States (precisamente Athens, Georgia, e dalla provenienza geografica deriva anche il loro sarcastico nome), che un paio d’anni fa si mise in luce con il debutto “Wrecking Ball”. “Sugar” viene pubblicato dopo un importante periodo dedicato alle esibizioni dal vivo, in cui i cinque ragazzi hanno avuto la possibilità di condividere il palco con Dinosaur Jr. e Meat Puppets. Non i primi imbucati, insomma.
Sì, ma com’è la musica che il gruppo propone in questo disco? Sicuramente di qualità, ben scritta e dalle notevoli doti comunicative (analizzando gli aspetti positivi), tuttavia sin troppo derivativa e ‘composita’, nel senso che la personalità latita in quasi tutti e dieci i brani che compongono l’ellepì (ecco le dolenti note). Andiamo con ordine: è chiara l’intenzione dei Dead Confederate di rifarsi all’alt rock degli anni Novanta, pescando a piene mani dal grunge e suoi derivati. Spicca soprattutto l’affezione che i Nostri nutrono nei confronti di Nirvana e Smashing Pumpkins, con qualche tocco psych aggiunto da frequenti intrusioni di organo hammond. Un rock carico di spleen, insomma, che omaggia sonorità che pare stiano ritornando in auge.
Analizzando il lavoro più in dettaglio, almeno quattro sono le tracce direttamente ispirate da Cobain e soci: “Quiet Kid”, nella quale appaiono pure distorsioni in odore di Motorpsycho, periodo “Demon Box”; “Semi – Thought”, dalle parti di “In Utero”, anche se il ritmo di batteria iniziale pare riportare alla mente la cadenza funerea di “Atrocity Exhibition” dei Joy Division, ma si tratta di un fuoco di paglia; mentre la title – track e la cupa semi ballad elettrica “Shocked To Realize” sono sempre nirvaniane, ma più dalle parti della raccolta “Incesticide”. Si tratta, probabilmente, dei pezzi più convincenti dell’opera. Altrove le cose non vanno così bene: “Giving It All Away” e “Father Figure” ricordano degli Smashing Pumpkins piuttosto sottotono, e l’assolo di J Mascis non risolleva di molto le sorti della prima; l’apripista “In The Dark” propone la melodia rumorosa dei Dinosaur Jr in salsa grunge, ma pecca di efficacia; da dimenticare, infine, la ballad country – alt – folk rock “Run From The Gun”, con tanto di rimandi al brit pop (Oasis?), e l’esperimento noise rock di “Mob Scene”, esempio di come non si dovrebbero mai alleggerire le sonorità di nomi quali Big Black ed Helmet in un contesto quasi ‘orecchiabile’. E un altro difetto del disco è proprio questo: cercare una ‘cantabilità’ pop senza riuscirci, mentre si ha l’impressione che se il complesso avesse osato di più con il pedale del distorsore, probabilmente le canzoni ne avrebbero tratto giovamento.
Comunque non bisogna neppure essere troppo critici con questa band, si finirebbe per risultare ingiusti. I Dead Confederate hanno alcune buone qualità, su tutte la duttilità vocale di Hardy Morris e l’abilità nel tratteggiare atmosfere fra il cupo e il malinconico, se solo non s’incaponissero in velleità troppo melodiche per le loro inclinazioni. Forse servirebbe loro un po’ più di personalità e fiducia in sé, per ora il rischio è quello di passare per epigoni ‘leggeri’ di qualcosa che ai tempi leggero non lo era affatto.
Stefano Masnaghetti