I primi riffs di Full Circle fanno saltare in aria l’impianto. C’è poco da sorprendersi visto che Mark Tremonti ha composto negli ultimi anni due dischi pazzeschi e molto hard oriented con i superbi Alter Bridge. Detto questo è innegabile che “Overcome” e “Bread Of Shame” fanno dannatemente bene il loro dovere, inondando di modern rock l’ascoltatore che si sarebbe aspettato uno Stapp più leggero anziché incazzato ed efficace da subito.
“A Thousand Faces” richiama i Creed più classici, ovvero l’arpeggiato iniziale soft e il ritornello più deciso in quella che è sicuramente la traccia più ancorata alle origini: non convince il bridge centrale mentre il chorus merita, il brano tutto sommato è sufficiente ma non la mega hit che potevamo attenderci dopo le prime battute. “Suddenly” ci riporta a saltare convinti, qualche chicca nei pattern di batteria di Scott Phillips e un mood agguerrito per un tre minuti e mezzo senza fronzoli. “Rain” è il classico mega singolo confezionato per il mercato americano, l’abbiamo trovato abbastanza noioso e superfluo per dirla tutta. Fortunatamente “Away In Silence” ci regala finalmente un lento come si deve, con Stapp immerso completamente nel pezzo che riesce a smuoverci dentro come non era ancora riuscito a fare nei due precedenti brani a basso voltaggio.
“Fear” ha un buon ritornello e cresce lentamente facendosi forse attendere troppo causa le strofe iniziali troppo dilatate. “On My Sleeve” conferma l’alternanza ritmica del lavoro, risultando molto easy listening ma tremendamente convincente anche grazie a un fondale d’archi che fa risaltare la drammaticità del pezzo: ritornello spaziale che, questa volta sì, vuole ricordare (senza sfidarli giustamente, il confronto sarebbe impari) i tempi dell’incredibile With Arms Wide Open, con Stapp che utilizza un registro vocale molto ampio sorretto dalla sei corde di un Tremonti d’annata. La titletrack ha un buon giro ma non è quel botto che si richiederebbe appunto al pezzo che dà il titolo a un lavoro intero. “Time” arriva dopo un brano non ispiratissimo e paga dazio per una lunghezza eccessiva, proviamo a risvegliarci con “Good Fight” a cui chiediamo di rialzare per l’ultima volta i giri ma la canzone non è molto d’accordo e si trascina abbastanza stanca fino all’inizio dell’ultima “The Song You Sing”, che grazie al cielo, senza strafare, ci regala una buona chiusura di album dopo minuti avari di emozioni.
Un ritorno attesissimo, in cui molto mestiere è andato a creare alcuni brani di pregio e qualche filler di troppo. Tuttavia non era lecito attendere il disco della rivoluzione interstellare, i Creed hanno giustamente giocato sul sicuro e in America “Full Circle” andrà da dio. Per ora ci accontentiamo anche grazie a qualche momento da novanta sopra evidenziato, attendiamoli in tour e nel frattempo preghiamo affinchè Alter Bridge III (terzo cd da studio della band con Myles Kennedy on vocals, quelli di Blackbird per capirci, disco rock dell’anno 2007 per molti di Outune, ndr) veda la luce nei tempi stabiliti (si parla di febbraio/marzo 2010) consentendo a entrambi i monicker di proseguire l’avventura nel music biz del terzo millennio.