[AltFolk-Jazz] Nancy Elizabeth – Wrought Iron (2009)
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Se dovessimo far sedere Nancy Elizabeth al tavolo della scena del folk al femminile, un tavolo sempre più affollato, da un po’ di tempo a questa parte, dovremmo liberarle un posto vicino a Regina Spektor ed Essie Jane, sue fonti di ispirazione più evidenti, ma lasciarla comunque nelle vicinanze di Marissa Nadler, maestra ormai decisamente superata.
Abbandonata l’arpa, strumento guida del suo album precedente, Nancy Elizabeth si confronta, qui, con il ben più canonico pianoforte. Se per un po’ ci si può, di questo, dispiacere, vista la bellezza eterea di cui brillavano le sue vecchie composizioni, c’è da dire che per quanto costellato di passi falsi, uno per tutti il brutto campionamento di voci che sta alla base di Feet Of Courage, questo album risulta molto più maturo,omogeneo e soprattutto intenso.
La bellezza di questi nuovi pezzi non sta tanto nella capacità, fin troppo manifesta, che l’autrice ha di arrangiare le canzoni come piccoli gioielli di jazz un po’ retrò: pezzi come Canopy, pur nella loro bellezza, non riescono a smuovere emozioni che vadano oltre la più sincera ammirazione per l’opera d’arte stessa, che spesso si perde in puri estetismi da dandy simili al ferro battuto che da’ il titolo a questo album.
La bellezza di Nancy Elizabeth sta nei vuoti che riesce a creare, vuoti in cui le sue canzoni respirano e ci fanno respirare, vuoti come quelli di Divining, nella quale le trombe appaiono e scompaiono dandoci l’impressione di percepire la musica solo ad ondate, o come quelli di Ruins, più malinconici, sussurrati e strazianti tanto da fare pensare quasi a Billie Holiday. L’estetica del vuoto è spesso molto più interessante della tendenza a riempire, e se è vero che, spesso, si tiene vuoto un pezzo per mancanza di idee o per non sbagliare aggiungendo, qui tutto è bilanciato nel migliore dei modi, niente è lasciato al caso. Trasparisce come unico vero difetto di Wrought Iron quello di sembrare fin troppo artefatto.
Francesca Stella Riva