Alla fine Keep Moving, terzo disco dei Wolfmother diventato in corso d’opera il debutto solista del frontman Andrew Stockdale, non cambia di molto le carte in tavola: uno dei pochi nomi del revival Anni Settanta capace di radunare attorno a sé un seguito rilevante, è sempre stato un business gestito in maniera esclusiva dal riccioluto cantante e chitarrista, capace di stravolgere la lineup dell’omonimo debutto già nel secondo Cosmic Egg, e di farne delle importanti “tarature” durante il suo lungo tour di supporto.
L’unica giustificazione che ha portato a questo ritorno in altra veste è il desiderio di voler dare un nuovo inizio al progetto senza rivoluzionare l’idea dell’opinione pubblica creatasi con i precedenti due lavori. Perché Keep Moving, pur essendo un disco che conferma le qualità artistiche di Stockdale, sembra voler staccarsi dalla musica di Wolfmother e Cosmic Egg: meno bordate hard rock, una produzione più pulita e un più maturo approccio al songwriting sono tre elementi che riassumono il suo nuovo percorso artistico. Con una prima parte che inevitabilmente rimanda al passato, introdotta da quella Long Way To Go non a caso scelto come singolo di lancio.
Nei diciassette pezzi di Keep Moving vediamo Andrew Stockdale confermare il suo amore per i riff di Sabbathiana memoria (l’inizio di Ghetto insegna), ma anche esplorare sonorità per lui inedite, al punto di ritrovarcelo convincente autore di brani acustici come Suitcase. Un lavoro che conferma l’immenso talento di uno dei musicisti più iconici del rock degli ultimi dieci anni, protagonista di un lavoro più che buono nel quale ha potuto lavorare a mano libera senza il peso ingombrante del fenomeno da lui stesso creato chiamato Wolfmother.