Quando la stampa inglese inizia ad incensare la ‘next big thing’ di turno, è inevitabile che serpeggi un po’ di scetticismo, causa la tendenza dei giornalisti britannici nell’esasperare le qualità di molti artisti passati al loro vaglio, soprattutto se si tratta di musicisti provenienti dalla loro nazione. È altrettanto inevitabile, però, che di questi se ne parli spesso e volentieri, e non è detto che qualche volta tali vaticini non siano azzeccati.
È questo il caso di Anna Calvi, giovane cantautrice di chiare origini italiane, che la BBC ha inserito nella sua pool “Sound of 2011” fra i 15 pretendenti al trono musicale per l’anno in corso. Merito, soprattutto, di un’ottima cover di “Jezebel”, brano portato al successo da Edith Piaf tante, tante epoche fa. Tutti gli occhi erano quindi puntati su questo suo omonimo album di debutto, il quale non tradisce le attese, ma neppure fa gridare al miracolo.
La Calvi cita fra le sue influenze Debussy, Ravel e Messiaen. Nientemeno. Ma niente paura, nel suo disco non troverete accordi non funzionali, tonalità remote e imitazioni del canto degli uccelli, bensì un solido cantautorato che, applicando una riduzione estrema delle sue componenti, somiglia a un melange fra PJ Harvey, Nick Cave e Morrissey (leggi anche Smiths). La voce di Anna, infatti, ricorda davvero molto quella di Polly Jean, in particolare nelle modulazioni alti/bassi (“No More Words”, ad esempio, o anche “Suzanne And I”); di Nick Cave si citano soprattutto certe atmosfere torbide e ‘di frontiera’, ricordi tex-mex, blues arrugginiti e folk del west (“The Devil”, uno degli episodi più riusciti, così come la quasi Tom Waitsiana “I’ll Be Your Man” e l’oscura “Love Won’t Be Leaving”); la salmodia di Moz, invece, si presenta inaspettata quando più è forte la ricerca della melodia ‘sofferta’, come nel caso di “First We Kiss” (sentite come vengono intonate le parole, e gli archi in chiusura). C’è anche, a tratti, una ricerca di dimensione cinematica, che porta direttamente agli ultimi lavori del duo Nick Cave – Warren Ellis (cfr. la strumentale “Rider To The Sea”, ma anche certi tratti della stessa “The Devil”).
Produce il disco un altro Ellis, Rob, che, guarda caso, vanta collaborazioni passate sia con la Harvey sia con Cave. Produzione di prim’ordine per un’opera di prim’ordine, anche se…anche se è proprio la personalità stessa di Anna Calvi che, nel mezzo di questa girandola di citazioni, risulta un po’ latitante. Finendo per appiattirsi sin troppo, in molti passaggi, sul paradigma Harveyano/Caveiano. Per ora siamo di fonte ad una grande promessa futura, che dimostra davvero di saperci fare, ma non ancora del tutto compiuta. Questo è sicuramente un ottimo disco, ma il possibile capolavoro appare ancora lontano. Buona la prima, ma andiamoci piano con gli entusiasmi più smodati.
Stefano Masnaghetti