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Art rock è definizione controversa (negli anni Settanta era utilizzata quasi come sinonimo di progressive rock) e impegnativa da indossare. Eppure Questi Nuovi Puritani dimostrano di meritarsela. Forse non ai tempi di “Beat Pyramid”, disco ancora troppo legato a certe scorie post punk e molto lineare nella realizzazione. Ma con “Hidden” la loro arte musicale ha davvero spiccato il volo e, se il risultato finale mostra ancora delle falle, le intenzioni vanno nella direzione giusta.
Album molto diverso dal predecessore, dicevamo. Più complesso e frastagliato, quasi insondabile in alcuni frangenti. Nel quale, come dice il titolo, le moltissime stratificazioni che lo costituiscono sono nascoste le une nelle altre. E tutte quante messe assieme formano un mosaico sonoro che muta incessantemente il suo disegno, tassello dopo tassello (undici in tutto).
Tuttavia la ricerca del quartetto britannico pare molto simile a quella dei gruppi progressivi (vedi ancora alla voce art rock) di quarant’anni fa. Laddove questi ultimi tentavano di unire il rock psichedelico e le sue dilatazioni con il jazz e la musica classica, i These New Puritans compiono un’operazione molto simile portando in rotta di collisione pulsioni sinfoniche, beat elettronici che rasentano la dance vera e propria, scampoli di synth – pop, trip – hop e una vena dark di chiara matrice new wave. Insomma, l’ennesimo tentativo di avvicinamento fra la cosiddetta musica colta e l’universo pop – rock, attuato tenendo conto delle nuove esperienze.
Nascono così pezzi nei quali la componente ‘classica’ è preponderante, altri in cui hanno maggior peso le derive ossessive e paranoiche degli ultimi anni, altri ancora orientati alla simbiosi delle due anime dell’opera. Una sezione fiati divisa fra legni e ottoni si manifesta in molti episodi dell’album, tratteggiando sonorità ispirate al tardo romanticismo dei primi del Novecento, con qualche piccola sortita nei pressi di Stravinsky: la costante è rappresentata dal timbro grave degli ottoni, che ispessiscono i tratti più cupi dell’album. E poi c’è la prospettiva pop: “Orion” integra cori pseudo medievali con sintetizzatori à la Depeche Mode; “Three Thousand” e “We Want War” chiariscono una volta per tutte che le intuizioni dei Massive Attack di “Mezzanine” hanno fatto molta strada; “Attack Music” prosegue il discorso di “Beat Pyramids”. Ma il capolavoro dell’album è l’incredibile adattamento della song di Edward Elgar “Where Corals Lie”: l’orchestrazione originale è sconvolta da una pressante scansione vocale hip – hop, frantumata da una ritmica tribale e percussiva e scossa da un uso dell’elettronica dal retrogusto industrial. Sulla carta sembrerebbe qualcosa di folle e sconclusionato, eppure funziona a meraviglia. Magnetica.
“Hidden” non è certo un lavoro di facile metabolizzazione, richiede un po’ di tempo e d’impegno per essere apprezzato fino in fondo. Neppure è perfetto o calibrato al millesimo: certi accostamenti finiscono per essere sin troppo stridenti. Ma questo accade raramente. Per il resto abbiamo in mano uno dei dischi più stimolanti e intelligenti degli ultimi tempi.
Stefano Masnaghetti