Copertina e nome della band mi avevano fatto subito pensare a qualcosa che avesse a che fare con il kraut – rock. M’immaginavo un suono a metà strada fra Agitation Free e Tangerine Dream. Esternata questa mia inutile considerazione, preciso subito che ero in errore e che “Three Years Three Days”, album d’esordio degli italiani Atome Primitif, non ha nulla a che spartire con corrieri cosmici e simili. Anzi, i riferimenti musicali contenuti nei dieci brani (più intro) che lo compongono sono molto più recenti.
Il complesso pone come sua cifra stilistica una commistione fra alt rock ed elettronica che si nutre di molteplici input stilistici. Il centro di gravità è costituito dalla bella voce di Azzurra Giorgi, la cui estrema duttilità e leggerezza permette di passare da ambientazioni marcatamente rock (Indù) ad altre in odore di trip – hop alla Portishead (Air) sino a giungere ad una particolarissima ed eterea psichedelia in grado di far coesistere vibrazioni shoegaze e sogni acidi made in England anno 1967 circa in una sola canzone (January The 7th). Siamo appena ai primi tre pezzi del cd e l’interesse è vivissimo, gli Atome Primitif ci hanno saputo stupire sin dall’inizio. Peccato che alla distanza il disco cali un po’ di tensione; “Silver House” è una buona ballad ma piuttosto convenzionale, e quel che le succede pesca ora dagli ultimi Flaming Lips (l’electro – rock di “Machine”) ora dal post – rock dei Mogwai (la coda strumentale della conclusiva “Amor & Psiche”) e infine da molto altro ancora (post – grunge, indie folk, ancora shoegaze, etc.), senza però dar mai quell’impressione di straordinaria freschezza che profumava le prime tre canzoni.
Si tratta comunque di piccoli difetti, anche perché è piuttosto normale che il primo lavoro sulla lunga distanza presenti ancora una personalità non del tutto definita da parte dei musicisti che lo compongono. È questo il caso di “Three Years Three Days”, che nonostante ciò è ricchissimo di qualità e d’inventiva, ed è un bel biglietto da visita per gli Atome Primitif. Ne potremo sentire parlare parecchio in futuro, se solo continueranno su questa strada.
In chiusura, un doveroso plauso alla pronuncia inglese della Giorgi, davvero ottima.
Stefano Masnaghetti