Ben Harper balla da solo, per citare una famosa pellicola di Bernardo Bertolucci. Pulito e solitario per il suo decimo album, Ben decide di apparire così come aveva fatto al suo esordio, senza band di supporto, senza gli Innocent Criminals di “Lifeline” del 2007 né tantomeno i Relentless 7. E’ lui l’artista, il compositore, lo scrittore e l’arrangiatore di tutto il materiale proposto, la faccia è la sua e non ci sono comprimari.
Un disco solista, dove il ragazzone californiano fa un po’ quello che vuole e come lo vuole, si vede che maturità comporta una dose di sano egoismo, senza compromessi. Apici del disco sono le due altisonanti collaborazioni che vedono impegnati Ringo Starr in “Spilling faith” e “Get there from here”, un medley dai chiarissimi toni beatlesiani, soprattutto nella seconda parte strumentale in cui l’apporto artistico del batterista britannico stravolge, in parte, l’opera harperiana dai toni più concreti. E poi in “Pray that our love sees the dawn” la voce di Jackson Browne (nei cui studi di Santa Monica il disco è stato inciso) armonizza e impreziosisce il tutto.
Album del ritorno a casa per Ben Harper che, seppur non al massimo della sua capacità espressiva è, come sempre, in grado di regalare una delle migliori pillole di rock-soul, ormai rimasto solo ed isolato narratore di queste sonorità.
Francesco Casati