C’era una volta una band hard rock Irlandese, veniva da Dublino, ed era capitanata dal carismatico Phil Lynott, autore della maggior parte dei successi del combo. Lynott non è più su questa terra dall’ormai lontano1986, l’eroina se l’è portato via a 36 anni, e il nome del suo gruppo è entrato per sempre nella leggenda. Sembra quasi inutile citarlo quel nome, ma per i pochi che non conoscessero la storia di questa storica formazione, il nome in questione è Thin Lizzy.
Si sa, legends never die, e anche in questo caso il buon vecchio detto non ha sbagliato. Il nome fu rispolverato per un tour commemorativo ma le critiche non mancarono, e aumentarono oltre misura quando, dopo aver assoldato Ricky Warwick dietro il microfono, iniziarono a circolare voci di un nuovo album. Quando le critiche si fecero eccessive la scelta più drastica e forse anche più saggia venne presa: via per sempre il vecchio moniker, questa è una nuova band, e il nuovo nome col quale i cinque decisero di presentarsi al mondo fu Black Star Riders.
“All Hell Breaks Loose” è il titolo del disco di esordio del nuovo/vecchio act. Un album che quando uscì sugli scaffali scottava letteralmente. La critica e i fans erano pronti a polverizzare l’opera di Scott Gorham , il membro superstite della formazione originale, tutti erano pronti ad abbattere l’operazione nostalgia nata per tirare su qualche soldo sulla scia dei ricordi dei bei tempi andati, e invece…boom!!!
Il disco è una bomba, mi sento di affermarlo senza mezzi termini; la critica, i fans, gli scettici, tutti sono stati convinti, i dubbi sono stati spazzati via nel breve volgere di 45 minuti e 11 tracce, nelle quali si respira tanto sapore di Thin Lizzy, sì, ma anche tanta sporcizia da pub irlandese, tanto hard rock, e soprattutto, si gode per tutto il tempo della voce, del carisma e della carica del (purtroppo) sottovalutato e anche poco conosciuto Warwick. I suoi The Almighty (dei quali si staglia l’ombra in alcune tracce del disco) non raccolsero mai il successo che meritavano, e i suoi ottimi dischi solisti sono appannaggio dei pochi die-hard fan dell’hooligan nord-irlandese, ma lui non si è mai arreso, e con questo ennesimo nuovo cambio di pelle mette in mostra i muscoli e sale sul podio con una prestazione maiuscola. La sua voce piena, sporca, graffiante è l’ideale per i brani di “All Hell Breaks Loose”, il disco va via che è una meraviglia, tra l’hard rock della title track che apre le danze, le atmosfere irish-folk di “Kingdom of the Lost”, quelle più rock melodiche di “Hey Judas”, il groove irresistibile di “Hoodoo Voodoo” e il bluesaccio sporco e unto della conclusiva “Blues Ain’t So Bad”; il segno sulla pelle rimane profondo, indelebile.
Una delle migliori uscite dell’anno appena trascorso, e i Black Star Riders, in gran forma e forti del successo di critica e pubblico, pare stiano già pianificando il secondo capitolo di questa nuova avventura. Che altro fare se non attendere con ansia buone nuove da quel di Dublino?
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