[Blues Rock] The Black Keys – Brothers (2010)


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Il nuovo album del duo di Akron esce quasi esattamente a due anni di distanza dal precedente “Attack & Release”, consolida alcuni importanti cambiamenti che già si presentivano nelle note di quest’ultimo, e conferma i Black Keys quale band di classic rock fra le più importanti dell’ultima decade.

Per Dan Auerbach e Patrick Carney il 2009 è stato comunque un anno importante e denso di avvenimenti. Il primo ha pubblicato un ottimo esordio come solista, “Keep It Hid”; Patrick si è impegnato nelle fila dei Drummer, band da lui creata, registrando il discreto “Feel Good Togheter”; entrambi si sono adoperati nella coraggiosa collaborazione con artisti hip – hop e r’n’b tramite il progetto Blakroc, e gente più ferrata di me sull’argomento asserisce che anche questa bizzarra operazione abbia avuto esiti più che felici. Insomma, i due musicisti son riusciti nell’intento di convincere anche al di fuori del gruppo principale.

A ben vedere, il suono di “Brothers” nasce proprio da queste ultime esperienze: da un lato esalta le componenti ‘roots’ di “Keep It Hid”, dall’altro approfondisce il flirt con la black music che costituisce l’ossatura di Blakroc. Anzi, volendo essere ancor più precisi e analitici, il sesto disco dei Black Keys è una sorta d’incrocio fra lo stile dell’Auerbach solista e i contenuti ‘neri’ di Blakroc, che qui però vengono intesi in senso più tradizionale. Niente hip – hop, quindi, rimpiazzato dalla musica che era popolare fra gli afroamericani qualche decennio fa.

Dimenticatevi allora il garage scorticato degli esordi, qui non lo troverete, o almeno lo percepirete solo a tratti, diluito nel mezzo di rock blues elettrificati che si lasciano sedurre da rock’n’roll arcaici, numeri soul che poco hanno da invidiare alle sonorità tipiche di Motown e Stax, intrusioni funk e lievi accenni folk. Un amalgama sonoro profondo e rallentato, che per 55 minuti accompagna l’ascoltatore in un afoso viaggio attraverso qualche highway sperduta nel sud degli Stati Uniti, fra paludi, zanzare e notti umidissime. “Brothers” potrebbe essere la colonna sonora ideale per un’impresa del genere: difficile resistere al falsetto à la Marvin Gaye che Dan esibisce in “Everlasing Light”, oppure ai blues rock lenti e torbidi di “Next Girl” e “She’s Long Gone”, o al riff torrido e ai singhiozzi d’organo di “Black Mud”, o ancora alle ‘soul song’ “The Only One”, “Too Afraid To Love You” e “Sinister Kid”, senza dimenticare il garage’n’roll di “Howlin’ For You”, dal battito quasi crampsiano e dal delinquenziale effetto fuzz della chitarra.

“Brothers” respira a pieni polmoni la storia del rock, definendosi come il capitolo più classico del complesso americano. D’altronde è stata registrata al Muscle Shoals Sound Studio, luogo che fu praticato persino dai Rolling Stones, quindi quest’atmosfera demodé non stupisce più di tanto. Un’eccessiva prolissità permette la presenza di qualche filler di troppo, ma nel complesso l’opera può esser senz’altro considerata riuscita e di valore, testimonianza della grande maturità raggiunta dai Black Keys, oggi più rilassati e meno irruenti, ma sempre grandi artisti.

Stefano Masnaghetti

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