[Cantautorato] Anthony & The Johnsons – The Crying Light (2009)
Her Eyes Are Underneath The Ground – Epilepsy Is Dancing – One Dove – Kiss My Name – The Crying Light – Another World – Daylight And The Sun – Aeon – Dust And Water – Everglade
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L’ascolto di questo The Crying Light, dedicato a Kazyo Ohno, coreografo e danzatore giapponese oggi ottantaduenne e che fa bella mostra di sé in copertina, per il sottoscritto è stato come la petite madeleine proustiana. un fulmine, un colpo, uno shock che mi ha fatto rivivere alcune sensazioni dell’infanzia ormai dimenticate.
Purtroppo questo è stato l’unico effetto positivo ricavato dal disco, per il resto parlerei di noia e fastidio.
Partiamo dalla voce, il tono baritonale ipervibrato del nerd cicciottello Anthony Hegarty risulta intrigante per il primo minuto di ascolto, poi diventa ridicolo e infine grottesco. Solitamente per descrivere il suo approccio vocale si citano una sfilza infinita di grandi voci, per quanto mi riguarda, Anthony ha semplicemente preso Elvis e lo ha dotato di quel fastidioso vibrato lagnoso… e questo è male, molto male.
Elvis è il Re, considerando che non puoi imitare il Re e farla franca, è prassi comune che recuperare il suo stile vada bene esclusivamente per due finalità: l’operazione nostalgia e la citazione burlesca. Ma Anthony è serio (quindi non si scherza) ed è un grande artista (quindi non cita nostalgicamente) e il tutto si riduce ad adattare la voce del Re a noiosissime e insulse nenie di pianoforte e/o chitarra acustica che puzzano di vecchio come un cappotto ritrovato in cantina dopo troppi anni.
Appropriarsi di uno stile passato di moda per riattualizzarlo a contesti moderni è qualcosa di sensato, Anthony però si limita a ripetere tali e quali formule degli anni 50 e 60, seppellite sotto quintali di zucchero e condite dalla sua fastidiosa vocina.
Morale, un disco per pischelli dalle smanie intellettuali che vogliono stupire altri pischelli vantando gusti variegati e raffinati, nella realtà abbiamo un prodotto che è ‘artistico’ quanto può essere definito ‘alta cucina’ un 4 salti in padella.
Stefano Di Noi