Attenti, cari lettori, a non cadere nella tipica trappola bachiana, che sotto il termine di “esercizi per tastiera”, composti “per diletto dello spirito” e dedicati agli “amanti della musica” porterebbe a relegare questo gruppo di 6 partite (dalla BWV 824 alla BWV 830) tra le opere a principiale e dominante finalità didattica.
Tra l’altro non vorrei che il modesto pianista si illudesse, date queste premesse, che l’esecuzione delle 6 partite sia cosa facile. Affatto. Forse esse potevano risultare non impossibili al figlio primogenito, “eccezionalmente dotato per la musica” Wilhelm Friedermann. Ma non è da tutti, aggiungerei, ricevere codice genetico e lezioni private di clavicembalo da siffatto padre.
Ed anche semplicemente a leggere i nomi delle sezioni che compongono le singole partite si rischia di cadere in un’altra delle trappole del diabolico JSB (mi correggo JSB è stato proclamato Santo dalla chiesa luterana, la data della sua ricorrenza fissata nel giorno della morte, avvenuta il 28 luglio del 1750).
Il Santo Bach riesce a ‘spacciare’, sotto nomi insospettabilmente classici (preludio, allemande, sarabanda, minuetto, giga, toccata…) una serie di funambolici esercizi compositivi. Conservatore Bach, nel senso di autore assolutamente teso a salvaguardare i valori più assoluti, più elevati della musica. Per cui anche se siamo, in questo caso, nell’alveo di musiche da danza, dette “galanteries”, questo è proprio il terreno prescelto dall’Autore per imprimere una formidabile tensione e liberare tutto il proprio desiderio di ricerca, di sperimentazione, di innovazione.
La lettura di Ashkenazy è, come sempre, ariosa, cristallina, orientata a lasciar fluire la partitura, a librarla oltre lo spirito del tempo. Forse possono venire a mente interpretazioni più drammatiche, contrastate, in chiaroscuro del complesso testo bachiano e forse è proprio da quelle che il grande pianista russo (classe 1936) prende le mosse.
Riuscire a rendere l’allusione bachiana, il codice sotto il quale Bach compone, non è mai impresa semplice. Anche perché l’orizzonte, la visione sono di difficile comprensione (c’è chi ha osservato che anche la sequenza delle tonalità sembra suggerire una spirale che si allarga: dal piccolo intervallo Do Sib, al medio La Re, al grande Sol Mi). E dunque se esistesse una settima partita essa sarebbe in Fa. Ed è proprio la tonalità di Fa che introduce la successiva composizione bachiana: il concerto italiano.
Sarà stato tutto frutto del caso? Oppure già da allora il quarantenne Bach si divertiva, al riparo della sua parrucca incipriata, a prenderci un po’ in giro? A voi ascoltatori, come sempre, l’onore e l’onere della risposta.
Marco Lorenzo Faustini