[Crossover] N.A.M.B. – Bman (2010)


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Iniziamo dai convenevoli, cioè dalla biografia del gruppo. I N.A.M.B. sono una band di Torino, formatasi verso il 2004. Sono in quattro, e prima di dedicarsi interamente alle sorti del progetto possono già vantare collaborazioni con 99 Posse, Morgan e alcuni live in supporto ai Fantômas di Mike Patton. Nel 2005 esce il loro primo disco, omonimo. Successivamente suonano molto dal vivo, partecipando anche al progetto Rezophonic, con un brano remixato, per l’occasione, insieme a Madaski. Tuttavia la maggior parte del tempo e delle energie le spendono per realizzare “Bman”, loro ‘sophomore’ album, opera concept sulle (dis)avventure di un robot alle prese con scenari fra il grottesco e l’apocalittico. Lo sforzo è immane – solo la pre produzione del disco li tiene occupati per tutto il 2007 – e frutta 70 minuti di musica, corredata da un booklet monstre di 100 pagine che illustra le avventure del protagonista. In Europa “Bman” è già uscito l’ottobre scorso, negli Stati Uniti da poco più di un mese, mentre in Italia, dopo una ‘ghost release’, il cd sbarca nei negozi solo ora.

Ora il succo del discorso. La critica estera, con il New Musical Express, ne ha già parlato molto bene. E io non posso che accodarmi, data la qualità media di “Bman”. Perché stiamo parlando di un lavoro che rilancia un concetto ‘alto’ di crossover, riuscendo a fondere con successo mille spunti differenti, pescando da quasi tutto lo scibile rock, e non solo. Si è parlato molto di affinità con Nine Inch Nails e Faith No More, ed è innegabile che questi siano i due nomi che più informano tutte le composizioni dell’album: c’è la malinconia electro – industrial di “The Fragile” (“T.C. 3” e “Blue Sky”) e ci sono gli sberleffi musicali ispirati al buon Mike (Musichetta in pausa sigaretta); la voce di Davide Tomat è, tra l’altro, molto simile a quella di Patton. C’è però anche molto altro: le soluzioni più pop – oriented evocano la scaltrezza comunicativa dei Radiohead (Work It Out), mentre alcuni passaggi più irruenti fanno balenare l’immagine di Marylin Manson (Into The Mud). Neppure mancano refrain che odorano di nu metal, ritmi funky, rockabilly futuribili (Running) e persino qualche deviazione in territori noise (poche, ma ci sono). Quello che impressiona è la scelta dei suoni: una produzione davvero impeccabile consente di miscelare al meglio le parti elettroniche con quelle più tradizionalmente elettriche, senza dimenticare le digressioni puramente acustiche.

Una bella prova da parte di un complesso italiano che suona internazionale come pochi altri. Nonostante ciò, bisogna rilevare anche le pecche di “Bman”. Principalmente due, ossia la durata eccessiva, che porta a un calo dell’attenzione verso la fine, e soprattutto la natura troppo rapsodica dei vari brani, che spesso oscillano in una terra di nessuno, fin troppo sovraccarichi di segnali sonici diversi. Anche il passaggio dall’inglese all’italiano non aiuta a sbrogliare la matassa. “Bman” è sin troppo ambizioso, e il suo gigantismo finisce per nuocere alle ottime idee che i N.A.M.B. mostrano di possedere in gran copia. In ogni caso, per essere solo al secondo album, la band straborda di indicazioni positive, e già da adesso può essere considerata una delle migliori formazioni italiane.

Stefano Masnaghetti

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