Si rimane parzialmente sconcertati nell’ascoltare il nuovo album dei Cynic. Le ragioni dello sgomento potrebbero esser parecchie, ma a ben guardare si risolvono tutte in un commento piuttosto lapidario: il suono di “Kindly Bent To Free Us” è troppo leggero. Con questa considerazione non si vuole fare i metallari oltranzisti, anche perché sarebbe assurdo mantenere un simile atteggiamento nei confronti degli autori di “Focus” (1993), disco epocale che non venne capito da quasi nessuno proprio per il suo coraggio nell’oltrepassare il dogma del riff con chitarra distorta. E senza dubbio alcuno le otto tracce del terzo full – length dei Nostri non difettano in quanto a ricerca sonora: Malone, Reinert e Masvidal rimangono musicisti sopraffini, interessati quasi soltanto alla propria musica e ben poco alle opinioni di stampa e fan (e music biz in generale). Massimo rispetto in questo senso. Eppure il volto che hanno donato ai Cynic targati 2014 non è certo memorabile. Probabilmente perché, a furia di rifuggire il luogo comune della violenza in note, la band si è ritrovata a celebrarne un altro, quello del progressive rock ultra tecnico e lievemente melenso. Tanto da suonare simile a una versione dei Dream Theater corretta con parecchia fusion e un tocco di indie rock. Troppo poco sia per rinverdire i fasti dell’esordio sia per pareggiare il conto con l’LP post – reunion, l’ottimo “Traced In Air” (2008).
Gli esempi del nuovo sound inusitatamente melodico e smaccatamente pop – oriented sono parecchi. A partire dall’opener “True Hallucination Speak“, il cui incipit rumorista è solo un falso allarme: il resto della composizione oscilla fra la nitidezza dei Theater e certe complicazioni alla Psychotic Waltz, più il consueto tocco fusion in chiave Pat Metheny. Anche l’eterea title – track, sebbene ancorata in qualche modo al passato, mostra una ricerca melodica un po’ troppo anemica, che offre persino la possibilità di ascoltare stacchi alla Weather Report virati progressive. “Moon Heart Sun Head” offre qualche atmosfera “spaziale” in più, ma pur’essa finisce per l’adagiarsi verso sonorità più nette e fortemente debitrici del prog metal anni Novanta, le stesse che segnano profondamente “Infinite Shapes“. Non va molto meglio con la tintinnante ballad “Endlessly Bountiful“, con la Fates Warning-iana “Holy Fallout” o con la più ritmata “Gitanjali“. C’è pure un minore uso del vocoder rispetto al passato, scelta resa insostenibile dalla voce troppo anonima di Masvidal. A stupire c’è solo “The Lion’s Roar“, bizzarro mix fra le armonie di un complesso targato Inside Out e il gusto melodico tipico dell’alternative rock fiorito a cavallo fra Ottanta e Novanta; mossa azzardata, ma decisamente riuscita.
Lo stesso non si può dire del resto di “Kindly Bent To Free Us”, i cui difetti sono troppo evidenti. Ovviamente stiamo parlando di un lavoro formalmente impeccabile, ma questo è il minimo che ci si aspetta da un trio di tale caratura tecnica. Il problema rimane quello dell’alleggerimento dei suoni, che non ha portato gli esiti sperati: invece di scoprire nuove vie, i Cynic hanno finito col battere quelle già frequentate da altri, per giunta senza saper imprimere il loro passo.
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