[Electro – Rock] The Big Pink – A Brief History Of Love (2009)
Crystal Visions – Too Young To Love – Dominos – Love In Vain – At War With The Sun – Velvet – Golden Pendulum – Frisk – A Brief History Of Love – Tonight – Countbackwards From Ten
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Quanto ci si può aspettare da un duo che ha parentele con Alec Empire e coi Sunn O))), che ha appena firmato per la 4AD ed è il nuovo pupillo del noioso e modaiolo NME? Molto, forse moltissimo, forse troppo.
Per questo è difficile non rimanere delusi da queste undici canzoni d’amore fatte di testi fumosi e privi di ispirazione (“these girls fall like dominoes”) e di melodie capaci di pescare contemporaneamente nel meglio e nel peggio di quello che è tornato di moda negli ultimi tempi: lo shoegaze, la scena della Madchester degli anni d’oro, la robaccia anni ottanta grondante riverberi e sintetizzatori.
Prendiamo Dominos come esempio, per capire tutto il resto: una canzone che è orrenda, pacchiana, e sfocia in un ritornello dalla semplicità becera e ruffiana di una canzone da stadio elaborata per sfondare in classifica. Eppure, ad ascoltarla con attenzione, la ricchezza della base, stratificata e complessa come solo i veri nerd sanno fare, lascia intravedere la cultura musicale che sta dietro questo duo desideroso di stupire, cultura che viene fuori più che mai anche nell’unico pezzo veramente bello di questo album, Velvet.
Il difetto dei Big Pink è proprio quello di non essere né carne né pesce, nonostante tutti gli sforzi per risultare credibili: il loro cd è costellato di drammatiche cadute di stile e di altrettanti colpi di genio, di richiami ai Ride e ai New Order (vedi At War With The Sun) che si mischiano a pezzi come Love In Vain, costruita con la profondità di una ballad dei Duran Duran, o Too Young To Love, una brutta creatura figlia dei R.E.M e delle pasticche per ballare tutta notte.
Il discorso sarebbe ampio, per un album così. Sarebbe una filippica sull’industria che un tempo era “discografica” ed adesso è chiusa nello scatolone ben più ampio della sovrastruttura che chiamiamo moda, un mostro che sceglie un genere l’anno, lo sdogana fra i ragazzini e lo svuota di ogni significato rendendoci sempre più onnivori ed ignoranti.
Quindi: A Brief History Of Love è bello perché è prodotto dalla 4AD e spinto da NME? È bello perché è Shoegaze (notare che di questi tempi tutto è improvvisamente diventato shoegaze)?
A Brief History Of Love è brutto perché è un miscuglio molto colto ma del tutto privo di gusto? È brutto perché è banale?
Niente di tutto questo: il prodotto in questione (perché di prodotto si parla) è una riuscitissima operazione commerciale (ricordiamoci che entrambi i membri dei Big Pink sono prima di tutto produttori) che con la sua indefinibile accozzaglia di stili riuscirà a far impazzire sia i giornalisti musicali amanti di “un certo tipo di musica degli anni novanta”, che si troveranno a giocare in un mondo fatato pieno di richiami a tutti i loro eroi, Primal Scream compresi, sia i ragazzini per i quali Indie è una scritta su di una maglietta di H&M, quelli che cercano solo una scusa per ballare strafatti sentendosi comunque colti e alternativi. Per questo A Brief History Of Love è pericoloso come il Socing di 1984 o il Soma di Brave New World, per il suo essere altrettanto standardizzato e standardizzante.
Francesca Stella Riva