[Elettronica/Shoegaze] Maps – Turning The Mind (2009)
Turning The Mind – I Dream Of Crystal – Let Go Of The Fear – Valium In The Sunshine – Papercuts – Love Will Come – Everything Is Shattering – Nothing – The Note (These Voices) – Chemeleon – Die Happy, Die Smiling – Without You
Secondo album per Maps, nome dietro al quale si nasconde il musicista inglese James Chapman, factotum assoluto del progetto. Due anni orsono si era imposto all’attenzione di critica e appassionati con “We Can Create”, bizzarro incrocio fra le tentazioni spazio – psicho – orchestrali degli Spiritualized e le melodie rumorose dei My Bloody Valentine; una notevole prova di creatività che aveva persino rischiato di vincere il Mercury Prize (miglior album dell’anno da parte di un gruppo inglese o irlandese). Pare, però, che ai tempi della registrazione e della promozione di “We Can Create” il buon James si trovasse quasi costantemente sotto l’effetto di droghe.
Oggi è tutto diverso. Sembra che l’artista si sia liberato dalla sua dipendenza, e “Turning The Mind” rappresenta proprio questo: un addio rivolto agli aspetti più cupi della vita del vecchio James e uno sguardo verso un futuro migliore. In parallelo, anche la musica ne risente e cambia forma: nel nuovo lavoro la componente melodica è ancor più marcata, i vortici psichedelici si placano, vengono eliminate le chitarre sfrigolanti, mentre cresce l’interesse verso i battiti da dancefloor e monta la nostalgia per il synth pop dei ‘favolosi’ anni Ottanta (che novità, coi tempi che corrono…). Le sospensioni eteree tipiche dello shoegaze la fanno sempre da padrone (cfr. “I Dream Of Crystal”, “Without You” e la title – track, tra le altre), semplicemente questa volta manca del tutto il ‘contrappunto’ rumorista. Adesso My Bloody Valentine e Spiritualized sono blanditi e addomesticati da massicce dosi di Depeche Mode e affini (in particolare, Pet Shop Boys e New Order): così nascono brani piuttosto banali come “Let Go Of The Fear” e “Love Will Come”; quest’ultimo rasenta addirittura la più scialba dance commerciale.
Chi aveva gridato al genio ai tempi di “We Can Create” dovrà ricredersi. Questo nuovo capitolo è nettamente inferiore al debutto e rivela un Chapman in evidente crisi creativa, il quale non trova di meglio che infarcire l’album di filler e buttarsi a capofitto in una sorta di ‘electrogaze’ club – oriented di poco spessore e di scarsa personalità. Qualche episodio interessante c’è, specie nella prima metà del disco, ma un’ora di autolesioniste pulsioni sintetiche è difficile da sopportare. Forse sarebbe potuto venir fuori un buon EP, invece ci ritroviamo fra le mani un mediocre full – length.
Stefano Masnaghetti