Dopo il circoscritto successo di “Wash The Sins, Not Only The Face”, secondo lavoro in studio pubblicato lo scorso anno, i fan degli Esben and the Witch hanno accolto con sorpresa e curiosità l’uscita del nuovo album “A New Nature”, nei negozi dal 31 agosto scorso. Perché auspicare una nuova natura, mutare pelle, se il precedente lavoro ha imposto un sound molto influente in ambito wave? Sarà stata, forse, la comparsa di epigoni a volto più o meno scoperto – di cui abbiamo un brillante esempio tutto italiano nei “Be Forest”?
Neanche il fatto che sia necessario del tempo per metabolizzare i cambiamenti sembra preoccupare la band di Brighton. D’altronde, tra i fautori del nuovo sound c’è un certo Steve Albini, al mixer nei suoi studi di Chicago per dare l’impronta ad un lavoro segnato dalla rottura con la Matador Records in favore della Nostromo Records, label di proprietà della stessa band.
Come suona dunque “A new Nature”? Come se accostassimo i due dischi precedenti con la tecnica di montaggio delle attrazioni di Ejzenštejn. Oppure, se vi aggrada, pensate ad un novello Martin Hannett che incontra uno Steve Albini d’altri tempi e inizia a contendersi il suono di un gruppo diviso tra reminiscenze wave e prerogative rock. Mica male! Ascoltate il suono di basso, tra le novità più eccitanti: saturo, tanto alterato da far sospettare, nella open-track “Press Heavenwards!”, che il nostro impianto stereo sia andato definitivamente a puttane.
A conti fatti gli Esben hanno azzardato il passo che li tira fuori dalla bolla che loro stessi hanno creato, e che in fondo gli era già stretta: questa nuova natura non sembra essere un momento, ma un messaggio. Fatto di scelte importanti, a supporto di una composizione rarefatta e rampante, con persistenti giochi di luci e ombre, in cui momenti di rara intensità (la delicata “Dig Your fingers in”, o “The Jungle”, che sembra la resa in suoni dell’istante fotografato dalla copertina, priva di indicazione alcuna) precedono altri di furia immota (“No dog”, o la difficile “Those Deadful Hammers”). La metafora può essere estesa al valore del songwriting e della composizione, magniloquente in alcuni tratti, un po’ piatta in altri. Tutto ciò dà vita ad un disco complesso, sfuggente.
Un dato su tutti può spiegarci “A New Nature”: 8 brani per un totale di ben 54 minuti e una manciata di secondi. La durata media dei brani è di quasi 7 minuti. Saremmo felici di poter inserire un disco così tra i Top records, perché un disco ambizioso rivela i segreti di un gruppo: i pregi e i limiti. Ma vogliamo evitare inutili pressioni. Siamo certi che la ricchezza di note e sentori, come quelle del buon vino da invecchiamento, sarà pienamente apprezzabile un giorno – vicino o lontano che sia. Lasciamo riposare questo disco nella nostra preziosa discoteca, se non ne siamo convinti: a tempo debito avremo modo di riscoprirlo, in quei momenti rari, unici, in cui cerchiamo ascolti d’eccezione.
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